
Veniamo ai fatti: tutto ha origine il 31 maggio del 1923, giorno in cui a Delianuova si celebrava la festa del Corpus Domini. La configurazione politica nazionale dell’epoca vedeva il Partito fascista, costituitosi come tale il 9 novembre del 1921, al Governo, dopo che a fine ottobre del 1922, a seguito della Marcia su Roma, il Re concesse a Mussolini la facoltà di formare il nuovo Esecutivo. Il 19 novembre 1922 l’ultimo sindaco deliese prefascista, di nome Giovanni Loria, propose all’assemblea di aderire al fascismo in modo da garantire alla comunità deliese una maggiore garanzia di fondi per la soluzione dei problemi del Paese. L’assemblea si dichiarò d’accordo e tutti quanti inneggiarono al nuovo governo al grido di un cauto e sicuro “Viva chi regna!”. Tra i componenti dell’assemblea c’era anche il trentaseienne Francesco Caminiti, padre di Corrado.
Il 1923 si aprì con l’uccisione di sei antifascisti a La Spezia e proseguì a luglio con l’approvazione della Legge Acerbo, che prevedeva un premio di maggioranza dei 2/3 dei seggi della Camera dei Deputati per la lista che avesse superato il 25% dei voti validi – consegnando di fatto ai fascisti il potere. A luglio don Luigi Sturzo si dimise dalla segreteria del Partito Popolare creando una frattura lacerante tra antifascisti e filofascisti cattolici. Fu l’anno inoltre dell’arresto di Piero Gobetti e di Bordiga, del pestaggio di Giovanni Amendola e dell’omicidio di don Giuseppe Minzoni, ucciso a bastonate, tutto farina del sacco dello squadrismo fascista. Ma era la politica del bastone e della carota: d’altra parte il 1923 fu l’anno dell’approvazione della Riforma Gentile, che ancora innerva parte del nostro sistema scolastico. L’anno successivo si sarebbero raccolti i frutti della legge Acerbo e, dopo l’assassinio di Matteotti, il fascismo si sarebbe autolegittimato a diventare a tutti gli effetti un partito autoritario e dittatoriale.
Il 1923 fu dunque un anno di transizione tra l’Italia che stava uscendo dalle conseguenze del Biennio rosso e l’Italia fascistizzata. A subirne le conseguenze peggiori furono le Camere del lavoro. Va chiarito però che il Biennio rosso 1919-1921 aveva lasciato pesanti strascichi da entrambe le parti: alla nascita dei Fasci di combattimento, nel 1919, si contarono già diversi casi di pestaggi o attentati o di uccisioni di ex combattenti o protofascisti, come potremmo definirli, cosa che continuò anche nel Biennio mano a mano che si inasprivano le violenze da parte invece delle squadre fasciste. Quindi il Biennio rosso fu una serie di violenze multilaterale, mentre dall’avvento del fascismo in avanti la violenza fu costante e in definitiva unilaterale, direzionata dai fascisti verso gli oppositori cattolici, socialisti, liberali e comunisti.
Fu insomma in questo clima che quel giorno, a Delianuova, si celebrò la festa del Corpus Domini. A un certo punto, nel mezzo della festa, avvennero dei disordini causati da un gruppo di antifascisti socialisti che, al passaggio della banda, si misero a urlare “viva Lenin!” e “Abbasso Mussolini!”. Dovevano essere un bel gruppetto, forse qualche decina, se tale situazione degenerò subito. A un certo punto infatti gli antifascisti cercarono di imporre alla banda l’Inno dei lavoratori, cosa che suscitò la reazione di un gruppo di fascisti presenti alla cerimonia. Questi ultimi infatti misero mano alle armi e ne nacque una sparatoria che fece ben sei feriti. Sappiamo che a capeggiare la protesta tra gli antifascisti c’era Francesco Caminiti, che fino a sette mesi prima risultava presente nell’assemblea che intonò il “Viva chi regna!” e che evidentemente in quell’occasione fece buon viso a cattivo gioco. Tra i difensori dell’ordine fascista c’era probabilmente Domenico Rossi, all’epoca segretario comunale. Rossi era una figura che stava da entrambe le sponde: fu fascista dal momento in cui svolse il lavoro di segretario particolare del Federale di Reggio Calabria, Faraone, ma nel contempo fu antifascista da quando, in seguito, fu allontanato dallo stesso Partito fascista per indisciplina. Il sospetto è che fu coinvolto anche lui nella sparatoria, dato che il carteggio relativo alle testimonianze relative all’episodio fu completamente distrutto, come a voler insabbiare tutto l’accaduto (“’a ‘ncartamu”, secondo la restituzione dialettale, come se il potere fosse un affare privato di cui disporre a proprio piacimento e non un dovere pubblico in cui il soggetto è prima di tutto un soggetto storico. Come se “incartare” una faccenda bastasse, puerilmente, ad abortirla e a negarle cittadinanza tra i fatti del mondo).
Questa storia quindi sembra esaurirsi quel giorno ma in realtà costituisce un significativo precedente per capire che cosa successe dopo, alla fine del Ventennio fascista. Intanto però è bene chiarire che si registrarono alcuni fatti significativi durante il ventennio, giusto per chiarire che non passarono in un battito d’ali. Uno su tutti, nel 1936 fu ucciso il podestà Domenico Greco da un suo colono di nome Stefano Carbone. I Greco sostennero sempre il motivo politico mentre i Carbone sostennero i motivi d’onore. Il processo fu presieduto, per i Greco, da Farinacci in persona e Carbone alla fine fu condannato a ventiquattro anni di reclusione. Questo, insieme ad altri, è un episodio che costituisce un altro filone della storia e che riguarda il ventennio fascista a Delianuova, mentre in questo caso vorremmo concentrarci su cosa accadde nei mesi immediatamente successivi alla caduta del Regime.