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2. Rudolf

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Intervengono i Carabinieri, nelle persone del Brigadiere Costa e dei due carabinieri Arturo Quartarone e Matteo Valotta. Cercano di mettere le cose a posto in qualche modo: impediscono ai tedeschi di farsi consegnare le armi dagli italiani e fanno finta di niente davanti a questi ultimi che se la danno a gambe verso Sinopoli, senza peraltro recuperare la motoretta.

A quel punto i tedeschi portano il cadavere del loro soldato in via Maggiore Cutrì, dove c’era insediata una batteria tedesca. Lo identificano: si chiama Rudolf Schlvebe,1 figlio di Rudolf, nato in Sassonia venti anni prima. Era un ragazzino.

Qui i Carabinieri approfondiscono l’indagine e si lamentano con i tedeschi per avere tolto il cadavere dalla scena del delitto senza l’autorizzazione dell’autorità competente. I tedeschi non sono abituati alla stupidità della nostra burocrazia, per cui si sentono provocati. Tuttavia non si scompongono: avevano già anticipato l’intervento del Brigadiere muovendo un po’ di mezzi fuori dall’abitato. Tuttavia Costa capisce di avere detto una cazzata e cerca di rimediare. Gesticola un “non importa, cercheremo di rintracciare il colpevole” ma i tedeschi lo ignorano. Questa sparatoria è costata loro un cadavere e più avanti nel corso di quella guerra in Italia avrebbero ucciso per molto, molto meno.

Costa si rende conto poi di un altro particolare, che questa volta non ha a che fare con fucili o motorette. Si rende conto che molti abitanti della zona stanno uscendo in fretta e furia dalle loro case, sollecitate dai soldati tedeschi. Questi ultimi fanno ai paesani il gesto di lasciare le case e andare via, lontano, e di farlo subito. Escono donne, bambini, anziani, e si incanalano tutti verso una stessa, fittizia direzione opposta all’insediamento tedesco, come si fa quando si sta scappando lontano da un fuoco durante un incendio.

Costa e i suoi si allarmano sempre di più. All’inizio il brigadiere pensa che i tedeschi vogliano fare qualche rappresaglia e uccidere dei civili, e chissà se avrà pensato che si sarebbe offerto lui o se uno dei suoi sottoposti avrebbe fatto un passo avanti. Sente caldo, una caldo che non aveva mai sentito da quelle parti, tra quei ripari freschi e boscosi che circa ottanta anni prima avevano ospitato Garibaldi, proprio negli stessi giorni, proprio con lo stesso clima, forse proprio nella stessa ora in cui fu ferito il Generale.

Si mette male, malissimo. I tedeschi hanno già sgomberato gran parte delle vie circostanti. Santa Eufemia all’epoca faceva circa seimila abitanti: non era una città ma non era nemmeno un piccolo paesino e ci sarebbe voluto tempo per evacuare tutti, giorni interi. Nel frattempo Costa capisce quello che sta accadendo: il comandante della Batteria tedesca aveva poco prima deciso di schierare dei pezzi di artiglieria intorno all’abitato e aveva ordinato di puntare il fuoco sul Paese. In sostanza, stavano aspettando che anche loro lasciassero il centro abitato per poterlo bombardare. Costa capisce che in quel momento si tratta di decidere per sé o per quella comunità. Tira fuori tutta la diplomazia di questo mondo. Si mostra freddo, controllato. Sta facendo uno sforzo enorme. “Almeno, confinate l’area del bombardamento in modo che sia un atto dimostrativo ma privo di conseguenze per i civili. Loro non c’entrano niente in questa storia”. Il comandante tedesco comincia ad ascoltarlo con attenzione. Costa propone di sgomberare solo la parte di strada che da via Maggiore Cutrì arriva alla traversa con via Aspromonte, in modo da circoscrivere il perimetro del bombardamento e mettere almeno in salvo le persone. Poi garantisce che verranno svolte approfondite indagini sull’autore dell’omicidio. Lo avrebbe giurato persino su sua madre e baciando una immaginetta delle Madonna della Montagna ma queste cose indispettivano i tedeschi. Il comandante acconsentì, tenendo però sulle spine il brigadiere e i paesani fino all’ultimo. Poi si limitò a ordinare all’artiglieria di rompere l’accerchiamento ai suoi uomini di rimettersi in marcia verso nord. Non voleva lasciare l’Italia con questo peso sulla coscienza, e poi in fondo era vero che i paesani non avevano fatto nulla. I tedeschi lasciarono allora il Paese, e si dispersero nella confusione indistinta che la Storia riconosce alle ritirate. Per fortuna non si trattò dello stesso reparto tedesco che, alcune settimane dopo, bombardò, stavolta per davvero, l’abitato di Rizziconi, provocando una strage.

Quanto a Costa, la sera stessa dell’episodio, verso le 8, si trovò davanti un Ufficiale generale del comando del XXXI Corpo d’armata italiano, incaricato di seguire l’inchiesta e identificare il colpevole. Aveva una divisa molto bella, elegante, curata.

Alla data del 24 gennaio del 1944, giorno in cui il Brigadiere Costa ha rilasciato questa testimonianza, i colpevoli dell’omicidio del soldato Rudolf non risultavano ancora identificati ma si assicurava che le indagini sarebbero ancora proseguite.

 

 

 

1 È possibile che vi sia strato un errore di trascrizione, perché il cognome non sembra molto diffuso.

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