
- 4. Il cavallo di Troia
- 3. Il soldato “professionista”
- 2. Giuseppe Scutellà
- 1. È lo spazio a definire l’identità
Nel frattempo, all’interno della caserma, il trambusto creato dalla visita tedesca stava diventando incontrollabile. Non bisognava dare al nemico l’idea che c’era agitazione, anche se la situazione era molto chiara: il Comando dell”8ª Armata decise di seguire alla lettera le parole di Badoglio, che aveva concluso il suo proclama dicendo che le forze italiane avrebbero reagito a qualunque atto di ostilità proveniente da forze che non fossero quelle anglo-americane. Quindi, bisognava opporsi ai tedeschi che, era chiaro, avrebbero provato a invadere l’Italia. Non c’era inoltre molto tempo per lanciarsi nell’esegesi delle parole di Badoglio ed era chiaro che la retorica del sacro suolo calpestato da piede straniero reggesse poco anche se alcuni soldati, a diversi gradi, ci credevano davvero, e questa loro fiducia e fede era senz’altro nobile. Non era tuttavia chiaro come fosse possibile che soldati che fino a qualche settimana prima combattevano formazioni partigiane che non facevano altro che difendere la loro terra calpestata dal piede straniero, adesso fossero diventati improvvisamente essi stessi, di fatto, dei partigiani che difendevano la loro terra per lo stesso motivo.
Ribelli in casa propria, oppressori nelle case altrui. Non è nemmeno chiaro come fosse possibile che tale schizofrenia fosse stata legittimata nel tempo: presumibilmente, non era stato possibile avviare una revisione dell’atteggiamento italiano in certe aree di guerra come quella jugoslava perché tempo non ce ne era e non ce ne era stato. Dopo la deposizione del Duce infatti, Badoglio aveva cercato di mantenere lo status quo precedente, intavolando trattative sottobanco con gli Alleati. Quindi di fatto, nei confronti dei Paesi invasi dall’Italia, continuò la politica di repressione che c’era in precedenza. I soldati decisero soltanto in quelle ore, e in sostanziale autonomia e solitudine, da che parte avrebbero voluto stare.
E così, in quella caserma, toccò decidere ai singoli soldati che cosa fare con quei tedeschi che stavano aspettando là fuori. Non bisogna però credere che i comandi italiani rimasero fermi: già qualche giorno prima dell’armistizio lo Stato Maggiore dell’Esercito decise di riorganizzare il Corpo d’armata precedente. Il problema però fu che il Generale Gastone Gambara, che avrebbe dovuto prendere il comando della nuova armata, si mise in viaggio da Roma a Padova solo il pomeriggio dell’8 settembre perché dovette aspettare che il suo superiore, Ambrosio, rientrasse da Torino. Nel frattempo Gariboldi si era organizzato da sé e aveva inviato dei rinforzi ai valichi di confine. In caserma quindi la visita dei tedeschi non fu inaspettata: a giungere inaspettate erano state le parole confuse di Badoglio. In linea di massima, i soldati che presidiavano quel valico decisero di combattere. Tra quelli che presero questa decisione, alcuni lo fecero perché erano soldati, e il loro dovere era quello di obbedire agli ordini. Altri lo fecero perché non tolleravano i tedeschi. Altri sentivano forte addosso la responsabilità di essere dei soldati che in quel momento presidiavano una porta d’Italia. Si sentivano investiti di un compito onorevole e non lo avrebbero tradito per nessun motivo al mondo. Dove si collocava il nostro Giuseppe in questa casistica? Si può dire con assoluta certezza che decise di combattere e, dalla serietà con cui prese la battaglia, si può dire che, quel giorno, la sua scelta fu una delle più nobili.
Certo, non poteva sapere che il Generale che avrebbe dovuto prendere il comando dell’Armata, cioè Gambara, che in quelle ore si trovava più o meno dalle parti di Foligno, sarebbe stato considerato anch’egli un criminale di guerra, stavolta dagli jugoslavi (come anche il generale Ambrosio); che sarebbe poi stato un importante gerarca durante la Repubblica di Salò. Che era già popolare tra i suoi pari grado perché, a chi gli faceva notare che laggiù al campo di Arbe, nel Carnaro, i prigionieri erano fortemente denutriti, lui aveva risposto che quello era un campo di concentramento, mica un campo di ingrassamento. E poi forse anche Giuseppe la pensava allo stesso modo, o forse no.
Quello che ci rimane, è la condotta che decise di seguire quel giorno.