
- 3. Una storia prismatica
- 2. Campi rossi e piste narrative
- 1. Un caso editoriale
La storia dei fratelli Cervi infatti è un prisma (uso di nuovo questa immagine perché mi sembra davvero la più precisa) di altre storie che finora non hanno ricevuto adeguato spazio nelle narrazioni sulla Resistenza o che invece rappresentano altre “Resistenze”, altrettanto significative nella nostra storia ma mai davvero esplorate, talvolta sopite, se non silenziate. Faccio alcuni esempi: i moti sulla tassa sul macinato, che riguardano Agostino Cervi, quindi siamo a ridosso dell’Unità d’Italia. La figura dei Sarzi, e della loro forma di Resistenza che potremmo definire politico-estetica.
Le storie partigiane riguardano infatti sempre quattro interpreti: il partigiano (o il dirigente politico), il nemico, fascista o nazista, il simpatizzante (di uno dei due), il prete. Sono tutte storie scritte in ottica di dialettica da compromesso storico e quasi mai più rinnovate. Certo, da qualche anno la variante neofemminista affianca anche la staffetta, in un curioso rincorrersi a presidiare ruoli fino a prima ritenuti appannaggio solo dei maschi. Cambiano i ruoli ma il numero di personaggi in ogni caso rimane pressoché invariato. Eppure la storia dei Sarzi getta un’incredibile luce sul sottobosco partigiano di quegli anni e varrebbe la pena approfondirla. Poi c’è il ruolo degli intellettuali, e penso a Calamandrei e Italo Calvino, che contribuirono a edificare il mito postfascista dei Cervi come eroi nazionali (Calvino soprattutto). Sarebbe anche interessante approfondire come avveniva, in casi simili, la vera e propria costruzione di un eroe – su questo ci fornisce interessanti notizie Sandro Curzi nella prefazione al libro di Alcide scritta da Luciano Casali. La parabola di Anatolij, sopravvissuto ai gulag, che ospiterà Adelmo nel 1968 in Unione Sovietica; la figura artistica di Otello Sarzi, che sarà legata a Fellini. E infine, il ruolo del partigiano calabrese Dante Castellucci. Al netto di puerili orgogli campanilistici, la figura di Castellucci è significativa per quello che avvenne dopo la fucilazione dei Cervi, e per la sua morte che getta ombre sulla storia ancora non scritta degli infiltrati dell’OVRA tra i partigiani. Stessa sorte toccata a Nikolaj, finito anch’egli a fare il delatore per i fascisti (va specificato che Castellucci non è mai stato considerato un infiltrato; presumibilmente, era un infiltrato chi lo ha ucciso). Questa è una storia ancora irriferibile ma che sarebbe ora di approfondire con occhio lucido e sereno. C’è la storia degli aiuti forniti dai Cervi ai prigionieri del campo di concentramento di Fossoli, lo stesso in cui, poche settimane dopo la morte dei sette fratelli, in quel tremendo gennaio del 1944, transitarono i prigionieri ebrei rastrellati a Roma dai tedeschi, e anche Primo Levi, prima di essere mandati in Polonia o in Germania. C’è la storia dei bombardamenti angloamericani in Italia, che causarono migliaia di morti tra i civili anche dopo la proclamazione dell’armistizio, e anche in questo caso riposa sulla storia italiana una polverosa coltre di silenzio.
Tutte storie che avrebbero nella famiglia Cervi il loro motore principale e che, pur nella loro tragicità, non mancherebbero affatto di drammaticità, coralità e potenza narrativa.