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Sull’astensionismo elettorale

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Quando nel 1921 nacque il PCd’I, una delle correnti dominanti che fisicamente contribuì a costituirlo fu quella “comunista astensionista” di Amadeo Bordiga, che aveva come punto fermo l’astensionismo elettorale come forma di protesta nei confronti della democrazia rappresentativa, ritenuta espressione dello Stato borghese.

Nel ventennio fascista fu Mussolini a levare le castagne dal fuoco agli astensionisti proibendo direttamente la costituzione di partiti diversi da quello Fascista. La logica dell’astensionismo, in un senso o nell’altro, era uno strumento di potere o di dissenso, a seconda che venisse usato come strumento di repressione o di protesta.

Vi furono anni in cui il concetto di astensionismo, e di tutte le complesse varianti che lo distinguono (l’Aventino, sia quello dei plebei romani e sia quello del ’24, fu una forma complessa ed evoluta di astensionismo), è stato una modalità di espressione pacifica del dissenso molto importante.

In Tunisia oggi si sta sperimentando una significativa modalità di astensionismo elettorale. La cosa però che trovo significativa è che oggi invece, in Italia, l’astensionismo venga ancora considerato non tanto un gesto di dissenso (eppure durante le ultime le elezioni, per esempio a Palmi, sono sorti comitati di dissenzienti che hanno promosso un rigido astensionismo con tanto di tessere elettorali riconsegnate come forma di protesta contro il presunto disinteresse dello Stato nei confronti della questione sanitaria) quanto un gesto di svogliatezza o di disinteresse da parte dell’opinione pubblica, che “ormai non partecipa più alla vita politica”. Quindi, non un gesto rivoluzionario ma un gesto di sostanziale disimpegno.

Questa retorica della svogliatezza e del disimpegno, questa narrazione di una opinione pubblica “sfaccendata” e “delusa” neutralizza l’elemento di protesta che invece muove moltissime decisioni degli elettori, e finisce per stigmatizzarlo riducendolo a una banale e puerile arrendevolezza dei cittadini, quando invece è l’esatto contrario.

Ma è chiaro che la narrazione debba essere orientata in questa direzione: perché narrare l’astensionismo per quello che è, e cioè un atto di protesta rivoluzionario, sarebbe invece estremamente destabilizzante. Pertanto, è interessante portare degli esempi di come si articola questo movimento schizofrenico nella narrazione che ne fanno i mass media italiani: come un atto rivoluzionario positivo, quando riguarda un dissenso nei confronti di regimi a noi in qualche modo ostili (si veda l’articolo in calce, in cui viene scritta una elegia dell’astensionismo). Come un riprovevole atto di sciatteria dell’opinione pubblica invece, quando potrebbe portare a destabilizzare un ordine costituito interno (si veda il secondo articolo in calce, proveniente sempre dalla stessa fonte, in cui l’astensionismo è visto come “rinuncia”).

 

Astensionismo narrato in termini positivi:

https://www.corriere.it/…/tunisia-rivolta-popolo-votare…30

Astensionismo narrato in termini critici:

https://www.corriere.it/…/astensionismo-ogni-caso…

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