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7. Un violento scontento

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Questa voce fa parte [part not set] di 8 nella serie Sull'Attesa

E infine, cosa dicono i filosofi del linguaggio sull’attesa? Wittgenstein non ci credeva molto, nelle sue “Ricerche filosofiche”, al par. 581, dice che:

Un’attesa è adagiata in una situazione, dalla quale scaturisce. L’attesa di un’esplosione, per esempio, può scaturire da una situazione in cui ci si deve attendere un’esplosione. Vuol dire che non esiste una psicologia dell’attesa, poiché, e lo specificherà in un altro paragrafo:[1] L’intento è adagiato nella situazione, nelle abitudini e nelle istituzioni umane. Se non ci fosse la tecnica del giuoco degli scacchi, non potrei avere l’intenzione di giocare una partita a scacchi. L’intendere la forma di una proposizione ancor prima di enunciarla è reso possibile dal fatto che io sono capace di parlare la mia lingua.

Vedete come è antipsicologista, come non riconosce un elemento di strutturazione psichica che preceda il linguaggio? Un passo in avanti comincerà a farlo un semiotico raffinatissimo come Greimas, che nell’analizzare la collera, scopre un sostrato legato all’attesa: se la collera è definibile come un violento scontento accompagnato da aggressività,[2] e se lo scontento è definibile come frustrazione, e se la frustrazione è intrisa di delusione, ecco che allora viene convocato il concetto di attesa, che è preludio di una delusione. L’attesa è concepita da Greimas come attesa semplice, quando è messa in relazione con un oggetto di valore, o come attesa fiduciaria, che presuppone cioè relazioni modali con un altro soggetto. In altre parole, il soggetto di stato stabilisce un accordo con un soggetto del fare affinché contribuisca a ricongiungerlo con il suo oggetto di valore. Questo rapporto fiduciario può essere anche tradotto nel fatto che si dà fiducia a sé stessi oppure a un soggetto esterno che compie il ricongiungimento, si adopera per farlo. Tale fiducia in realtà si realizza nella costruzione di simulacri ai quali il soggetto si affida: credenze, proiezioni individuali, cioè oggetti immaginari che vanno per conto loro, cioè stabiliscono delle relazioni intersoggettive autonome rispetto al soggetto. L’attesa fiduciaria è agita quindi, perché dipende da altre istanze che ne determinano la sua trasformazione. L’elemento che si riappropria dell’attesa è la pazienza, ovvero, e torna ancora, il sapere attendere, che è appunto un sapere, una competenza modale che il soggetto detiene e che gli consente di armonizzare quell’istanza intersoggettiva. Nell’articolata dialettica tra soddisfazione e insoddisfazione, si articola quindi l’elemento dell’attesa presente nella frustrazione, che a sua volta è un elemento che partecipa del significato semiotico della collera.

Ovviamente non sono questi gli unici riferimenti, né intendiamo che sia necessario approfondire ulteriormente il tema. Ma questo dovrebbe essere sufficiente per dare un’idea delle questioni che questo termine solleva e ha sollevato tra alcuni eminenti studiosi del linguaggio.

 

 

[1] Par. 334. L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, ed. 2014.

[2] A. J. Greimas, Del Senso II, pp. 218-220, Bompiani, ed. 1994.

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