
L’area oggetto di questo articolo è la zona di confine tra il torrente Giampilieri e il vallone Incitola, oggi facente parte del comune di Scaletta Zanclea. L’insediamento del Kuturi (riprende il nome da un distretto dell’Attica Grecia posto su di uno stretto) più antico stava tra la sponda sinistra di detto corrente e il vallone Incitola; quello del monte “vecchio” tra la sponda destra e l’attuale villaggio di Briga. A est il mare, a ovest i Peloritani, i quali piuttosto che isolare hanno sempre aperto ai pastori l’areale del milazzese e in particolare di Monforte San Giorgio.
All’inizio si trattò di un solo insediamento, quello del Kuturi dove sono stati raccolti frammenti di ceramica riconducibili all’orizzonte della Conca d’oro. Con il passare del tempo, forse per esigenze demografiche o per l’insorgere di nuove culture, si rese necessaria la fondazione di un nuovo insediamento. La nuova comunità non si allontanò molto dal luogo di origine e si stabilì sulle pendici della collina al di là del torrente verso nord, oggi monte “Vecchio”, ricca di grotte e anfratti e dotata di una sorgente di acqua. Essa trovò più confortevole dimorare nelle grotte naturali anziché nelle capanne come forse avveniva nell’insediamento di origine. Queste grotte vennero rese più comode con opere di livellamento interno dando regolarità alle pareti e al soffitto, rifinendole con scanalature equidistanti e ricavando qualche mensola sulle pareti. La grotta poi veniva chiusa con un muro a secco. La nuova comunità era portatrice della convinzione che oltre all’abitazione per i vivi dovesse esistere lo spazio per l’abitazione dei morti e si costituiva così una continuità tra la vita e la morte. Le case dei morti a forma di forno e i rituali non erano solo commemorativi, ma alimentavano con la loro contiguità la cultura della memoria. Inoltre, lo spirito del morto mediava il rapporto dei vivi con le divinità. Rapporto che doveva essere di ringraziamento e benevolenza come si può dedurre dalla qualità dei frammenti raccolti sull’acropoli, più raffinata di quella quotidianamente usata. Anche l’area sacra del Kuturi è stata individuata e anche questa era delimitata da un muro a secco come quello del monte “Vecchio”, ma poco si è potuto raccogliere perché la zona è stata nel passato interessata dalla costruzione di una vasca per l’irrigazione.
La lunga frequentazione pacifica con i Micenei costituì per i Sicani una seconda pelle. Essi ebbero la possibilità di conoscere nuovi riti, nuove tecniche e questo non poteva avvenire senza il reciproco apprendimento della “parlata”. La coesistenza dei due siti è giustificata dalla presenza in entrambi di frammenti di ceramica cordonata. Anche tra le varie distinzioni sociali (agricoltore, pastore, artigiani e guerrieri) il popolo sicano manteneva l’armonia che significava riconoscersi come comunità. La presenza di frammenti ceramici prodotti oltre i peloritani è indice che questi monti non costituivano un baluardo, ma erano un punto di incontro come avviene anche oggi nei periodi estivi sebbene in modo meno frequente. Durante questi incontri oltre alle notizie si scambiavano oggetti, arieti e caproni, prodotti agricoli, artigianali e della pastorizia, si pattuivano nuovi insediamenti, si concordavano matrimoni. Quest’ultima abitudine è abbondantemente testimoniata dai registri parrocchiali dei matrimoni dei villaggi collinari di Altolia, Molino, Giampilieri, Pezzolo, Briga e Santo Stefano di Briga a partire dal XVII secolo. Inoltre un’altra tradizione molto praticata era quella del comparatico. Si potrebbe parlare di una “Sicania felix” alla quale il mare per un lungo periodo diede sicurezza. Poi tutto finì. Desidero pertanto invitare le comunità che hanno testimonianze archeologiche di quel tempo a custodirle con amore, come simbolo di una serenità perduta.