
Il 28 Maggio del 1492 un editto di Fernando de Acuna, Viceré di Sicilia, faceva noto che: “per certi causi moventi lo animo di S.A., voli et intendi discachari et expelliri fora di soy regni et dominio li iuvey”. Seguiva un elenco di 40 giudecche e stabiliva che da quel momento i giudei venissero posti con tutti i loro beni sotto la regia salvaguardia. Il 30 giugno dello stesso anno faceva seguito un altro provvedimento in base al quale: “il Re, comu cristianissimu e zelanti de la religioni cristiana e stanti fidi cattolica e per esalcatazione di quilla, voli expelliri et extirpari da tutti i suoi regni e dominazioni la apostasia et iniqua pravitati iudayca”.
Questa è la data che storicamente viene individuata come l’inizio delle persecuzioni antiebraiche in Europa e che si colloca in quell’arco di tempo che, con la scoperta delle Americhe, segna la fine del medioevo e l’inizio della cosiddetta età moderna. In realtà, fu l’emergere in maniera palese di un crescente sentimento antiebraico che nel 1474, dunque ben 14 anni prima, aveva visto in Sicilia, a Modica e nella Val di Noto, frati predicatori, ancor prima delle predicazioni di Bernardino da Feltre, aizzare le folle contro le comunità ebraiche che da moltissimi anni prosperavano in assoluta tranquillità eccellendo nell’agricoltura, nelle produzioni artigianali e nella produzione serica, che trovava in Calabria, in tutta la fertile area dell’antico Plano di Sancto Martino e in quelle collinari che giungevano a Reggio e, ancor oltre, nell’area grecanica della Bovesia, erano il cuore di una fiorentissima attività di coltivazione del gelso, indispensabile nutrimento dei bachi da seta, con produzione serica di altissima qualità. Non solo questo: gli ebrei esercitavano le arti liberali e la professione medica, anticiparono quella che, secoli dopo, sarà l’attività delle banche: il prestito di denaro ad interesse che la chiesa cattolica riteneva empio favorendo invece con i domenicani il prestito su pegno. Gli ebrei erano dunque contadini, artigiani, esercitavano le arti liberali e la professione medica venendo apprezzati sempre per la loro discrezione o come oggi si direbbe per la loro “professionalità. Le caratteristiche e l’intrinseca compattezza del vincolo comunitario, cui faceva da elemento unificatore uno spirito religioso profondamente sentito, fecero sì che gli ebrei fossero in taluni momenti rispettati, stimati e benvoluti e in talaltri ferocemente tassati, spogliati dei propri beni e, molto spesso, uccisi in una serie di corsi e ricorsi storici, anche se il pregiudizio antiebraico al suo sorgere fu essenzialmente religioso e non economico.
Infatti, in seguito all’editto di Costantino e all’editto di Nicea, quando il cristianesimo in seguito alla conversione di Franchi e Longobardi divenne la religione ufficiale dello smembrato Impero Romano, gli ebrei restarono l’unico gruppo non cristiano in Europa. Successivamente, invece, dietro all’apparente pregiudizio di natura religiosa, furono celate motivazioni di mero spirito predatorio: di fatto una spoliazione forzosa dei beni degli ebrei per ripianare le dissestate casse della Corona, dissanguate dalle spedizioni oceaniche e dalle guerre. Sicilia e Calabria, infatti, erano entrambe sottoposte all’autorità della Corona Spagnola e, pertanto, le vicende degli ebrei di Sicilia e di quelli calabresi sono legate da impressionanti similitudini anche perché Reggio aveva una presenza ebraica importante e assai numerosa legata soprattutto al rito aschenazita (non casualmente a Reggio esiste via Aschenez) di origine mitteleuropea giunto in riva allo Stretto e radicatosi grazie alla presenza normanna che, al contempo, fu importantissima nella Sicilia del tempo… Due storie parallele con al centro il mare dello Stretto di Messina e gli intensi traffici delle due marinerie fra le due opposte sponde. Dopo l’inizio delle persecuzioni, per gli ebrei di Calabria e Sicilia iniziò un periodo difficilissimo. Perseguitati e uccisi se non avessero abiurato la loro religione, in ogni caso, privati dei beni anche in caso di conversione al cattolicesimo, – dettata dalla necessità di salvare quanto meno la vita se non i beni. In migliaia lasciarono i territori dell’isola e della Calabria spostandosi verso il centro Italia, in territori non sottoposti al controllo spagnolo. Pagine di storia che sono state sottaciute.
La visita al tempio ebraico di Roma – la prima dopo 2.000 anni di cristianesimo- compiuta da Giovanni Paolo II il 13 Aprile del 1986- ha gettato un nuovo interesse sulla storia degli ebrei in Italia: Una storia intarsiata da traversie e persecuzioni e che in molti suoi aspetti necessita ancora di profondi studi, soprattutto per quanto concerne le vicende della comunità ebraiche della Sicilia e della Calabria. La presenza delle comunità ebraiche in Italia è antichissima. Lo attestano i pochi ritrovamento di sinagoghe avvenuti: il primo ad Ostia nel 1961 e il secondo più recente, a Bova Marina dove, come confermò il compianto Rabbino Elio Toaff, vennero alla luce i resti di una sinagoga del IV secolo. La comunità israelitica di Roma è forse la più antica in Europa: le prime fonti risalgono al 139 A.C.. Nell’età imperiale la comunità ebraica godette di una certa libertà civile e religiosa, come paiono attestare fonti epigrafiche provenienti dalle catacombe e dai cimiteri ebraici e conservate nei musei vaticani. Anche durante il medioevo e i secoli compresi fra il X e il XV la comunità ebraica romana poté vivere in uno stato di relativa tranquillità, turbata solo da sporadiche avvisaglie di costrizioni religiose quali il divieto di costruire nuove sinagoghe (Onorio III), l’ordine di bruciare tutti i libri religiosi (Gregorio IX) e le prime forzate contribuzioni in denaro (Giovanni XXI).
Altri pontefici di più larghe vedute, invece, concessero piena libertà di culto proibendo al contempo qualunque spoglio o nocumento dei beni e qualunque profanazione dei cimiteri ebraici. La situazione cominciò poi a deteriorarsi e gli ebrei furono sottoposti a restrizioni di vario tipo e ad un sempre più accentuatesi pressione fiscale.
Una data particolarmente significativa è il 14 luglio 1455, data di emanazione di una bolla con al quale Paolo V attuava tutte le leggi antiebraiche fino ad allora promulgate e, soprattutto, obbligava gli ebrei a risiedere in una area circoscritta da alti muri – da erigersi a spese della comunità – il “Ghetto” – dentro il quale dovevano rientrare la sera per uscirvi nuovamente il mattino successivo. Veniva inoltre vietato qualunque tipo di professione o arte tranne il prestito del denaro e il commercio degli stracci definito, quest’ultimo, con evidente neologismo “arte conciaria o strazzaria”. Con Gregorio XIII furono organizzate prediche coattive volte alla conversione degli ebrei. L’area del Ghetto di Roma era compresa fra il Lungotevere de’ Cenci, via Catalana e via del Portico d’Ottavia. Al suo interno la situazione fu sempre estremamente precaria per le malsane condizioni di vita, l’alta concentrazione abitativa e le frequenti inondazioni. Nonostante tutto questo e nonostante l’inimmaginabile tassazione e le limitazioni d’azione e di pensiero, la condizione degli ebrei romani fu senza dubbio migliore di quella delle altre comunità e, in particolare, di quelle spagnole e siciliane sottoposte a vessazioni durissime che si accentuarono nel clima di euforia e di potenza scaturito dalla conquista del regno arabo di Granata. Clima che si inasprì col matrimonio fra Ferdinando d’Aragona e Isabella delle Asturie, manifestandosi in una esaltazione dello spirito nazionalistico e in una esasperata azione inquisitrice dei Domenicani. Gli editti del 1492 furono dunque solo l’epilogo di un periodo di persecuzioni per gli ebrei di Sicilia e Calabria e, più in generale, per tutte le comunità ricadenti sotto il dominio della corona aragonese. Decretata l’espulsione, moltissimi ebrei ripararono a Roma. Questo è uno dei punti più controversi e interessanti della politica pontificia. Come mai era possibile che gli ebrei espulsi dalla Spagna e dalla Sicilia o fuggiti per evitare i processi dell’inquisizione e, in ogni caso, perseguitati per motivi religiosi potessero, pur tra mille restrizioni, trovare riparo proprio nella Capitale dello Stato della Chiesa? Emerge il doppio binario della politica dei Papi, i quali permettevano le persecuzioni religiose in Spagna per non inimicarsi il “Cristianissimo sovrano D’Aragona” e accettavano i profughi ebrei a Roma, perché era di vitale importanza per lo Stato Pontificio che ci fosse qualcuno che, come i fiorentini, i lombardi e i mercanti diffusisi poi in Francia e nelle fiandre praticasse il prestito di denaro ad interesse: Ciò in quanto a quell’epoca, per motivi teologici, i papi vietavano tale attività ai cattolici.
In seguito, nel 1569 e nel 1583 gli ebrei furono scacciati da tutto lo Stato Pontificio, fatta eccezione per Roma (capitale dello Stato), Ancona (porto di primaria importanza per i commerci di Roma e i traffici con l’Oriente) e Avignone, in Provenza, centro di collegamento per i contatti fra l’Italia e la Francia con il resto dell’Europa.
La presenza degli ebrei venne dunque regolamentata da severe leggi e la vita quotidiana è concentrata nel Ghetto. A metà del secolo XV, aggirando gli ostacoli di ordine teologico, la chiesa istituisce i monti di pietà praticanti il prestito su pegno. E proprio in questo periodo, in Umbria, nelle Marche e nel Lazio iniziano le predicazioni antiebraiche di Bernardino da Feltre, Giovanni da Capistrano e altri predicatori i quali, descrivendo i presunti misfatti, delitti e sacrilegi compiuti dagli ebrei incitavano le popolazioni a crociate antiebraiche ma, paradossalmente, almeno fino a tutto il 1600, i Monti di Pietà non riuscirono a sostituirsi ai mercanti e ai banchieri ebrei, soprattutto per le garanzie di riservatezza che il mercante ebreo assicurava.
Gli ebrei siciliani: una storia assai complessa e meritevole di studi approfonditi. Gli archivi delle città e dei paesi della Sicilia sono delle vere miniere di notizie. I primi insediamenti ebraici in Sicilia furono anteriori all’età cristiana. Venendo ad epoche storiche più recenti, il La Lumia afferma che, nell’XI secolo, in Sicilia vi era piena tolleranza di culti. Il Milano afferma che Federico considerava la presenza della comunità israelitiche in Sicilia come uno strumento necessario per l’attuazione e le riforme del suo programma di governo e per questo motivo gli ebrei erano lasciati liberi di commerciare, costruire, accumulare ricchezza, acquistare e vendere terreni. Il “regnum” federiciano fu un periodo fausto per gli ebrei di Sicilia e anche per quelli di Calabria: fonti del 1427 danno notizie di comunità ebraiche a Vibo Valentia, Seminara Nicastro e Gerace. Fonti della tradizione orale, suffragate dalla circostanza che il nome “Giudecca” contraddistingua ancor oggi una zona dell’abitato, vogliono nuclei o comunità ebraiche presenti a Terranova Sappo Minulio e San Giorgio Morgeto. Il Ferorelli e, soprattutto, il Dito si occupano degli ebrei di Calabria soffermandosi sul benessere della regione e sullo stato di miseria che fece seguito alla cacciata degli ebrei, in quanto le restrizioni e le pressioni fino al decreto di espulsione degli ebrei dal regno non portarono a un reale arricchimento, ma solo un serio turbamento dell’economia generale e un grave stato di disordine economico al quale la Corona cercò di por rimedio emettendo un ordine per il sequestro simultaneo di tutti i beni mobili, armi e oggetti preziosi appartenenti agli ebrei in partenza e di preferire il fisco a qualsiasi altro creditore. Un quadro indubbiamente grave, nel quale, contraddittoriamente, si inserisce l’azione del clero e degli ordini religiosi tesi alla conversione degli ebrei prospettata, questa, come unico modo per evitare il sequestro. Tale azione, singolarmente, si contrappose all’acredine dei funzionari regi che vedevano solo l’interesse della corona. Mediando le due esigenze, il Re decideva che il battesimo avrebbe liberato dallo sfratto ma non dall’esproprio dei beni previo versamento del 40% del loro valore. Successivamente i rigori furono via via attenuati e furono disposte facilitazioni per gli ebrei che lasciavano la Sicilia avendo pagato i debiti. Numerose fonti elencano i provvedimenti e i prezzi pagati poter lasciare l’isola. È però difficile trovare citazioni intorno alle Giudecche di Militello, Val di Noto e Vizzini, città di “camera reginale” per il quasi totale passaggio alla religione cristiana dei membri delle comunità. Passaggio attestato dalla sopravvivenza in queste città di molti nomi ebraici: “Lucente, Vita, Addamo, Amoroso, Busacca, Catalano, Costa, Di benedetto, La Rocca, Greco, Lazzaro, Di Lentini, Marino, Agosta, Augusta, Lo Presti, Pace, Scirè ed altri. A Palermo, invece, la comunità ebraica era stata completamente sradicata tanto che nel 1492 fu venduta la Muskita (o meskita) di quella città ad una gentildonna palermitana che fece intitolare una chiesa alla Madonna della Catena. Tentativi di sfuggire alle persecuzioni furono fatti storpiando il cognome e sostituendo ad esso il toponimo. Questo accorgimento fu comune agli ebrei di tutta Europa, molti dei quali trovarono riparo a Roma e vollero conservare le forme di rito tipiche dei loro paesi d’origine, cercando di perpetuare quanto meno nell’intimo della preghiera un legame con la terra abbandonata. Nel ghetto divenuto un sovraffollato crogiuolo cosmopolita era infatti presente il rito sefardita praticato dai profughi di Spagna, Portogallo e Sicilia, il rito “aschenazita” proprio delle comunità ebraiche mitteleuropee ed un rito (chiamato oggi “rito italiano”) proprio degli ebrei di Roma e detto “Benei Roma” cioè “figli di Roma”. A conferma della massiccia presenza ebraica in Calabria, lo studioso Antonio Sorrenti, cita anche un rito detto per l’appunto “calabrese”.
Prima della costituzione del ghetto esistevano numerose sinagoghe, dette anche “schole”. Dopo le prime restrizioni alcune scholae scomparvero altre si fusero. come avvenne per la schola francese e per quella castigliana.
Nel 1566, Pio V stabilì dapprima la chiusura di tutte le sinagoghe e la vendita dei loro beni poi, dietro pressione dell’università israelitica, accondiscese a riunire le ultime 5 scholae superstiti in un unico edificio, detto appunto delle “Cinque Scholae”: costruito in maniera da rendere le cinque sinagoghe intercomunicanti, ospitava ufficialmente una sola Sinagoga in conformità a quanto imposto dalla bolla pontificia. Le scholae ebbero fondamentale importanza nella vita del Ghetto dove fungevamo anche da sede per le strutture amministrative e sociali, indispensabili in qualunque aggregato umano organizzato. Studi molto accurati sulle Cinque Scholae sono stati compiuti nel 1980 da un’equipe del centro Culturale ebraico di Roma guidata da Bice Migliau ed Elio Paparatti. Le Cinque Scholae rimasero attive fino al 1904. L’edificio era però destinato alla demolizione, in attuazione del progetto di risanamento dell’intero “Quartiere Ghetto” previsto dal Piano Regolatore Generale del 1883. Prima di procedere alla demolizione si attese l’inaugurazione del nuovo Tempio Maggiore, opera degli architetti Costa e Armanni.
Le vicende degli Ebrei di Sicilia e di Calabria rappresentano una pagina di storia da approfondire, prima che il tempo cancelli la memoria o la limiti alla Shoah nazista, che, per quanto feroce, resta solo la più recente espressione della bramosia di ricchezza mascherata da pregiudizio religioso o razziale.