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Cronaca di un disastro annunciato: la Città metropolitana

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C’era una volta in Calabria un Ente territoriale intermedio che si chiamava Provincia. Si piazzava a metà tra il Comune e la Regione e serviva a legare gli interessi delle comunità distribuite sopra un territorio omogeneo per caratteristiche e salvaguardie comuni. Poi, nel tran tran quotidiano delle “liti di provincia”, tra un atto da approvare e uno da rimandare in tempo per le prossime elezioni, arrivò un termine che solo i tecnici avevano già sentito e osservato, con riferimento a tecnostrutture e luoghi lontani, affollati di gente attaccata come formiche. Si pensava a New York, a Tokio, a Londra, e subito veniva in mente e agli occhi l’associazione “metropoli”. Ovvero un formicaio di tessuti sociali e umani appiccicati l’uno all’altro: in termini urbanistici, la Città metropolitana, appunto.

Adesso prendete la Città metropolitana di Reggio Calabria: “paesone e mai città”, a detta dei suoi concittadini avviliti e depressi dalle brutture urbane, il cui lungomare “più bello d’Italia” (a proposito, D’Annunzio non lo disse mai) fa storia e letteratura a sé, tra spettacolari piantumazioni d’inizio secolo scorso e porno-velleità di un futuro alla Dubai. Prendete molte altre parti della Calabria: centri abitati che emergono fra città sformate, paesi abituati alla propria involuzione e grumi di case sparse, come semi sparsi da un coltivatore su un terreno stretto e lungo. In questo luogo unico chiamato Calabria, gli abitanti sono una manciata, non arrivano a essere nemmeno due milioni, mentre Milano e il suo hinterland superano di molto i tre milioni di abitanti. Allora direte voi: “con questi numeri, che c’entra la Città metropolitana di Reggio Calabria?”. C’entra. C’entra all’ombra della lenta agonia di un territorio che viene calpestato giorno per giorno da orde di politicanti di ogni livello e rango con una visione rutilante della questione, mentre la realtà italica è fatta di fallimenti a raffica (vedi i progetti simili a Rimini, Cagliari, Messina) o peggio, di “metrocity”, come snobisticamente usano dire illetterati senza ritegno. Perché delle cose storte ci si accorge sempre dopo. A danno fatto.

Reggio, che si trova al ventunesimo posto della classifica delle città italiane per numero di popolazione, fa solo ridere. Ma non è ovviamente quello il parametro isolato a cui rapportarsi. Direte voi: «Allora ce ne saranno altri più performanti che fanno rientrare Reggio fra le grazie della legge Del Rio?». Nemmeno per sogno. Anzi, resta proprio un sogno quello di dotare un’area coincidente con l’ancora più depotenziata ex provincia di Reggio, delle innervature infrastrutturali minime di riferimento. Ancora oggi – vi faccio un esempio – l’intera area di collegamento viario dell’area portuale, quella che congiunge Gioia Tauro a San Ferdinando – e che ricade pienamente sotto l’egida della “Città metropolitana”, è mancante dal 1995 di illuminazione pubblica, di cartellonistica stradale oramai sbiancata dal sole e mai più ripristinata sotto i colpi di svariati incidenti stradali. La fibra arriva a stento fra i capannoni abbandonati e ancora oggi molte aziende lamentano assenza di collegamenti. Qui, nelle lontane province dell’Impero, con un porto chiuso a riccio da sempre, la Città metropolitana non si è mai vista e sentita. Qui si parla d’altro, della bufala della ZES (Zona Economica Speciale nella quale le aziende beneficiano di speciali condizioni per gli investimenti e per lo sviluppo, n.d.r.) i cui ambiti d’indirizzo volutamente laschi apriranno la strada al più grande rigassificatore d’Europa, proprio alle spalle delle gru, nel retroporto, senza che politiche avvedute di lancio (e non rilancio, di una cosa che non c’è mai stata) prenda il sopravvento. E poi si continua a parlare del nulla, cioè di “metrocity”, i cui amministratori inciuciano fra loro per poter inserire la carica onorifica di “consigliere metropolitano” nel biglietto da visita, senza sapere nulla del dissesto idrogeologico di questa zona d’Italia, e senza alzare un solo dito per la loro gente e il proprio territorio. che letteralmente si sgretola al solo guardarlo. Pensate se costoro venissero pure pagati. Sarebbe forse il caso di aprire gli occhi e riprendere le fila di un discorso serio su un territorio scoordinato che meriterebbe giustizia giusta e non sommaria, come invece ci capita tristemente di assistere. Manca il coraggio. Quello di guardare in faccia i cittadini e affrontare il loro disprezzo totale.

E magari, per qualcuno, affrontare anche gli sputi.

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