Storia

Francesca Lagamba: ‘A Capitanessa

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La prima rivolta contro l’impero napoleonico partì nel 1806 proprio dalla Calabria e durante il periodo di occupazione francese del Regno, si verificò un episodio che infiammò ancora di più gli animi dei fieri calabresi che avevano già iniziato la lotta per sollevarsi e scacciare l’odiato inva-sore. Le vicissitudini di Francesca Lagamba furono un mirabile esempio di come il popolo di Calabria se colpito negli effetti più cari con soprusi e ingiustizie, da generoso, leale e pacifico, può trasformare le virtù ataviche in atti di fierezza e coraggio oltre ogni limite arrivando fino al sacrificio ed alla lotta più cruenta.

Francesca Lagamba nacque a Palmi nel 1768 da Domenico della città di Monteleone (l’attuale Vibo Valentia) e da Rosaria Speranza di Stilo entrambi dimoranti da molti anni a Palmi. Si era sposata una prima volta con Saverio Saffioti di Palmi dal quale ebbe due figli di nome Domenico e Carmine e dopo essere rimasta vedova si unì la seconda volta in matrimonio con Antonio Gramuglia di Bagnara dal quale ebbe una figlia alla quale fu dato il nome di Rosa. Anche il padre si risposò alla morte della moglie Rosaria Speranza con Veneranda Cicala di Palmi che portò in dote una casa sita nel quartiere San Rocco sotto la via Sant’Elia, alla quale era annessa una bottega di caffetteria. Di professione filandera, la bella ed avvenente Francesca fu insidiata nell’onore da un ufficia-le francese che con insistenza e tracotanza le avanzava proposte tendenti ad ottenere il suo amore ma che, puntualmente, venivano sdegnosamente respin-te. Dopo l’ennesimo tentativo risultato anch’esso vano, il francese giurò di vendi-carsi dell’onta subita. Infatti, poco tempo dopo fece imprigionare il marito ed i due figli Domenico e Carmine con l’accusa di aver affisso sulla porta di una chiesa un manifesto nel quale re Ferdinando esortava i calabresi a sollevarsi contro i Francesi. Mentre i figli furono condotti nel Castel-lo di Reggio e fucilati dopo un processo sommario, il marito Antonio Gramuglia non resistendo al dolore per la loro uccisione morì di cre-pacuore nello stesso carcere dove era stato rinchiuso. L’infelice donna, affidata la figlia Rosa ai nonni paterni in Bagnara, si unì ai patrioti at-testati sui Piani della Corona giurando di vendicarsi. L’odio per i fran-cesi autori del suo dramma la fece diventare talmente temeraria e coraggiosa tanto da essere di esempio di lotta per i suoi compagni. Nei frequenti e sanguinosi scontri contro i nemici era sempre in prima linea distinguendosi per la sua temerarietà e la sua figura di eroina e di simbolo di lotta contro lo straniero si sparse nel circondario avvolgendola in un fanta-sioso racconto di imprese straordinarie.

Un giorno, durante una delle tan-te imboscate che venivano tese ai francesi sulle alture sopra Scilla, la donna ferì al braccio con un colpo di archibugio un ufficiale francese che altri non era che quell’odiato nemico che era stata la causa della distruzione della sua famiglia e del-la sua vita. Accecata dall’odio e dal dolore che ancora pativa, sfilò l’acuminato coltello che teneva fissato nella grossa cintura e, balzata a cavalcioni sul corpo del francese dolorante a terra, gli aprì il petto strappandogli il cuore. Senza dimostrare alcuna esitazione o titubanza lo alzò al cielo ancora caldo e grondante sangue e chiamando ad alta voce i suoi figli ed il marito lo addentò con poche ma energiche boccate. Davanti a tale prova di coraggio, che si aggiungeva a tanti altri episodi nei quali Francesca si era distinta contro il nemico, i suoi compagni la proclamarono unanimemente loro condottiera chiamandola da quel momento col nome di battaglia di “’A Capitanissa”.

Appreso che il Principe d’Assia Philpstadt stava per sbarcare a Reggio, Francesca corse con i suoi compagni d’arme in suo aiuto per facilitargli lo sbarco tanto da ottenere successivamente, per il prezioso contributo militare, il comando di una compagnia regolare di 500 uomini con quali continuò la guerriglia fino al tramonto dell’astro napoleonico.

Dopo la restaurazione dei Borbone nel Regno di Napoli, la temeraria donna vivendo grazie ad una pensione di 15 ducati concessale da Ferdinando IV per i servizi resi, si ritirò nella casa della matrigna Veneranda situata nella via S. Elia di Palmi, recandosi saltuariamente a Bagnara presso la figlia Rosa.

La “Capitanissa” Francesca Lagamba, morì nella il 30 giugno del 1838 per come si evince dall’atto di morte registrato presso lo Stato Civile del Comune di Palmi al n. 70 dello stesso anno che così riporta: “L’anno milleottocentotrentotto il di Primo del mese di luglio alle ore undici avanti di noi Gaetano Cotronei Sindaco ed ufficiale dello Stato Civile del comune di Palme – Distretto di Palme Pro-vincia della Prima Calabria Ulteriore; sono comparsi Pasquale Pavolotti d’anni sessanta di professione pastore regnicolo, domiciliato quartiere San Rocco e Bruno Galimi d’anni cinquanta di professione vaticale regnicolo, domiciliato ivi; i quali an dichiarato, che nel giorno trenta del mese di giugno dell’anno sudetto alle ore ventitrè è morta Francesca La Gamba, vedova di Antonino Gramuglia nata a Palme di anni settanta di professio-ne filandera domiciliata quartiere san Rocco figlio di fu Domenico di profèssione … dorniciliato…. e della fu Rosaria Speranza domiciliata … in esecuzione della legge ci siamo trasferiti assieme coi detti testimoni presso la persona defunta, e ne abbiamo riconosciuta la sua effettiva morte. Abbiamo quindi firmato il presente atto, che abbiamo scritto sopra i due registri, e datane lettura ai dichiaranti, si è nel giorno, mese, anno come sopra segnato da noi, avendo i testimoni asserito di non sape-re scrivere. Sindaco Cotronei”.

Poche e scarne sono le notizie tramandate dagli storici del tempo, circondate da un velo leggendario che a volte esaltava la figura oppure ne metteva in dubbio persino l’esisten-za indicandola come un’impostora o “faccendera”.

Oltre all’attestazione della sua morte altre notizie sull’esistenza della Capitanessa, della composizione della sua famiglia e del tenore della sua vita, si apprendono dall’atto stipulato nel 1793 dal Notaio Giovanni Antonio Soriani di Palmi col quale il padre Domenico Lagamba detta le sue ultime volontà testamentarie. Ma è soprattutto in un atto rogato nel 1816 dal Notaio Michelangelo Soriani che si apprendono finalmente ulteriori ed inoppugnabili notizie sull’eroina e sui due figli di primo letto Domenico e Carmine Saffioti. Il documento notarile cita i due figli senza però chiarire la causa del loro decesso anche perchè durante il periodo francese non veniva mai indicata.

L’atto riporta che: “… è comparsa Francesca Lagamba del fu Domenico, vedova di primo letto del fu Saverio Safioti, domiciliata nel Comune di Bagnara, di presente di passaggio in questo su detto Palme, a noi nota, la quale dichiara, come sendo passato a miglior vita il sudetto Domenico Lagamba fu suo Padre, con aver prima fatto il suo ultimo nuncupativo Testamento, sotto il dì quattro 4 = del mese di giugno dell’anno mille settecento novantatrè 1793: in atti del fu notaro Giovanni Antonio Soriani, col quale se ne morì, e tra l’altre cose in esso testamento, ha detto fù suo Padre disposti -due legati, uno di ducati 40 a favore di essa costitui-ta La Gamba, e l’altro di ducati venti, cioè ducati 10: a favore di Dome-nico Safioti, ed altri ducati 10 a favore di Carmine Safioti, furono figli di essa Francesca, che in tutto detti due di legati, ascendono a ducati sessanta, da doverli Veneranda Cicala, moglie, erede universale, a parti-colare di esso di lei Padre Domenico, sodisfare alla medesima, seguita sarà la morte di essa Veneranda, sul prezzo e valore della casa Ereditaria, sita in questa sudetta Comune di Palme, nel quartiere detto di San Rocco, o sia sotto la strada di Sant’Elia, come questo ed altro si legge dal citato testamento, al quale si abbia relazione. Soggiunge essa Francesca, come trovandosi in bisogno, e con tutto che non si è verifica-ta, fin’oggi, la morte di detta Veneranda, richiede la stessa, per la sodisfazione di detti legati, in detta somma di ducati sessanta 60: cioè ducati quaranta 40: per il legato a di lei favore, e l’altri ducati venti 20; quale madre, ed Erede di detti furono suoi figli Domenico, e Carmine Safioti, la quale per farla cosa grata, devenne a, consegnare, siccome sborsa, numera, e consegna ad essa Francesca La Gamba, quì presente, la sudetta somma di ducati sessanta 60: in moneta di argento, e fuo-ri Banco, quali sono estinzione, a pagamento delli citati due legati, come sopra dovuti in virtù del sopracitato testamento…”.

Nel manoscritto dello storico Palmese Domenico Guardata dal titolo “Memorie storiche sulla Città e Territorio di Palme 1850-1858”, è riportato questo breve accenno:

“…E a queste disgrazie (terremoto del 1783) successero le altre ancora delle rivolture politiche del 1799, in cui oh! quante scene di orrore si sono verificate. E dopo queste sventure le altre ancora fatali del brigantaggio del 1806 ebber luogo, in cui famose si resero molti capi-squadra, e sopra tutti una tale Francesca La Gamba donna di spirito gagliardo, notissima sotto il nome di Capitanessa, perché comandatrice di una forte schiera di briganti; al quale mestiere spinta l’aveano, e alcuni interessi delusi dal marito, e l’uccisione di un suo figliuolo per opera de’ Francesi. Ma ritiratasi poscia a vita più onesta e pacifica le fu dal Governo una pensione di ducati 15 al mese assegnata.”

A ricordo dell‘eroina Palmese e per immortalare e tramandare ai posteri la sua figura, intorno al 1930 era stata incisa una lapide marmorea da collocare in una strada principale da intitolare al suo nome. Fino ad oggi non è stato ancora scoperto perché all’iniziativa non venne data esecuzione e perchè l’epigrafe marmorea fu relegata negli scantinati del palazzo municipale, forse come uno scheletro da nascondere.

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