Società

Io sono l’altra. Io sono (l’) altro. Narrazione da una pandemia

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Un un tempo difficile da leggere, che si è imposto senza che avessimo la possibilità di procurarci lenti adatte o adattabili alla realtà che si rappresentava, il ruolo della narrazione ha spiegato le sue domande più importanti, assumendo un posto apprezzabile nella riflessione personale e collettiva, anche quella non concretamente espressa, solo sentita, un po’ da tutti.

In parte perché forzatamente sollecitati ad occupare lo spazio casalingo e luoghi del tempo svuotati, almeno in parte, dalle precedenti occupazioni, in questo lungo anno di privazione e limitazione della libertà, siamo riusciti ad avere un contatto più assiduo e diretto con la lettura, i libri, con gli approfondimenti culturali proposti sui social e attraverso i mezzi di comunicazione, con la narrazione delle cose e dei fatti, soprattutto umani.

Si tratta di una tensione anche antropologicamente riconosciuta che ciascuna persona cerchi di trovare la propria storia nel racconto fatto da qualcun altro, in un film, una canzone, un libro, un quadro. Anna Harendt non aveva nessuna titubanza ad affermare che la categoria della identità personale postulasse sempre come necessario ‘l’altro’.

Ed è proprio sulla scorta delle riflessioni della celebre filosofa che Adriana Cavarero, nel libro “tu che mi guardi, tu che mi racconti”, dedicato alla filosofia della narrazione, recupera le figure di Karen Blixen, Edipo, Borges, Ulisse, Rilke, Euridice ed altri, convocandoli a testimonianza delle varie forme in cui una persona riceve da una narrazione il proprio ritratto, aspetti di sé di cui magari nemmeno era ancora a conoscenza (ad ognuno di noi è noto il lavoro narrativo anche involontario della memoria e come ogni essere umano, senza neanche volerlo sapere, sappia di essere un sé narrabile immerso nell’autonarrazione spontanea della sua memoria).

Proprio con riferimento ad Ulisse, la Cavarero rileva come, alla corte dei Feaci, il racconto dell’aedo abbia incontrato, inaspettatamente, il desiderio di narrazione dell’eroe: “fra identità e narrazione c’è infatti un tenace rapporto di desiderio”. Rappresentazione che è rivelata nel momento in cui lo stesso ha presenziato in incognito al racconto della propria storia: “anche se essa ha ormai una fama che giunge al cielo infinito – e ha perciò già messo a frutto l’intrinseca memorabilità delle azioni dell’eroe – è infatti la prima volta che Ulisse la sente narrare, ossia si sente narrare”. E sarà di fronte alla narrazione della propria storia che Ulisse, prima ignaro del desiderio di ascoltarla, piangerà; l’eroe conosce la propria identità narrabile ed al contempo il desiderio di sentirla narrare.

E tale e tanto desiderio di sentirsi narrare ha stimolato Ulisse a prodursi in una narrazione autobiografica di sé stesso legando la biografia e l’autobiografia in un unico desiderio.

Esiste, infatti, e sembra tanto destabilizzante quanto scontato dirlo, un solo modo per apparire a sé stessi, ed è attraverso l’altro: “ presentare l’autobiografia come un atto solipsistico significa consegnare il sé ad un mondo muto e senza vita – un modo, in ultima analisi reso vuoto tanto dal sé quanto degli altri. In esso le differenze di tempo e di spazio collasserebbero nell’inclusività di una singola coscienza che non avrebbe nulla di cui essere conscia se non di sè stessa. Non è appunto in tale vuoto che Narciso si è annegato ?” (Janet Verner Gunn, Autobiography Toward a Poetics of Experience).

La letteratura, la narrazione, le parole, per altro aspetto, possiedono anche una forza creatrice e cre-at(t)iva rispetto alla realtà ed ai nostri convincimenti poiché i linguaggi che parliamo e che ci parlano svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione della nostra soggettività ed identità, nell’ottica di quello che siamo (il nostro io narrabile e narrato) e di quello che possiamo o vogliamo diventare (l’identità che potrà narrarsi, che dovrà narrarsi o la cui narrazione desideriamo si avveri).

Il come e il cosa vediamo quando leggiamo un libro non solo inizia a fare parte della storia dei ricordi, della nostra memoria, ma può condizionarla e, nei casi più emblematici, rappresentare una componente che orienterà e muoverà i nostri giudizi, scelte, preferenze, atteggiamenti, talora aiutandoci a sciogliere i nodi morali, etici, politici e personali che ci (pre)occupano o che stanziavano tra i nostri pensieri senza che ce ne accorgessimo.

Ecco perché la lettura non comprende solo un compito finito, non si esaurisce nella narrazione di ciò che è o è stato, pur necessario desiderato rivolto alla conoscenza della nostra identità, ma svolge per le nostre vite anche un compito orientativo e modificativo della realtà e della cultura che abitiamo e che ci abita, ministero di cui le scrittrici e gli scrittori devono farsi carico, così come gli intellettuali e coloro che si occupano di narrazione, linguaggio e parole che sono i segni, i significanti, che forniscono o cambiano le sembianze della realtà e dei suoi significati. Certo è che perché questo possa accadere sarebbe necessario che l’utilitarismo ai fini di lucro a cui è sovente condannata la narrativa e la cultura cedessero almeno un passo alla ancestrale naturalezza della creazione, anche fine a sé stessa, autentica, originaria ed originale, almeno basata su un sentire necessario e non esclusivamente commercializzato come ai tempi odierni. Tutti ricorderemo come in “lettere a un giovane poeta” Rilke descrivesse l’esperienza artistica “inutile”, libera e svincolata, incredibilmente vicina a quella sessuale.

I libri costituiscono una fonte eletta perché il percorso di riconoscimento e crescita di ciascuno di noi possa avvenire e divenire ed il periodo di quarantena e le limitazioni successive, quelle che stiamo vivendo, hanno consentito alle già accanite ed agli accaniti fruitori della letteratura di divorare quantità enormi di testi ed alle novelle lettrici o novelli lettori di comprendere nelle proprie giornate tempi dedicati all’arte della lettura, così le innumerevoli dirette di approfondimento sui social sono state agevolate dalla agilità di incontro e diffusione concesso dalla rete consentendo a chiunque, in modo comodo ed alla portata, di stare vicino al mo(n)do dei libri e della lettura, sicuramente occupando spazi di comunicazione e condivisione democratici nell’orbita di un sapere disinteressato e sganciato dalle logiche del profitto.

Un tempo difficile, pertanto, ma che ci ha concesso, e può (e deve) ancora farlo – perché almeno su questo aspetto non possiamo non modificare le nostre esistenze – di cercare (e trovare) noi stessi nella narrazione che soltanto il rapporto con l’altro può concederci, che sia una persona o un libro, una poesia o una canzone, oltre l’immagine di noi che possiamo vedere, di riflesso, dentro uno specchio sempre troppo o sempre poco generoso rispetto alla complessità della nostra essenza e mai abbastanza autentico come lo sguardo altrui, quello che ci pone in una relazione necessaria ed emotiva con il mondo e l’umanità che ci sta intorno, per scoprirla fuori e riscoprircela dentro.

È forse l’anteprima e l’antefatto della compassione e della convivenza com-prensiva, quella che dobbiamo recuperare da questa esperienza di isolamento e non necessariamente di solitudine, con l’aiuto dei libri (e dello scambio narrativo) e del riconoscimento della necessità e necessarietà del rapporto con l’altro del quale, a nostra volta, raccontiamo la storia.

Per concludere con la riflessione della Cavarero possiamo affermare che dall’incontro con l’altra o l’altro non dobbiamo essere necessariamente capaci di raccontare la storia “per filo o per segno” e non importa nemmeno se questa storia ci sia ignota: “chi ci appare si mostra unico nella forma corporea e nella voce” ma questo chi è un sé narrabile (e narrante) con una storia unica: l’altro è sempre un sé narrabile”, nell’universo espressivo che è ponte comune, luogo d’incontro e territorio della traduzione dall’io all’altro.

Io sono l’altro, recita una canzone bellissima di Nicolò Fabi del 2010, quello che “ti sta seduto accanto, sono l’ombra del tuo corpo, io sono l’ombra del tuo mondo”.

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