
Non c’è ardire più veloce che possa spiegare il senso di questa quinta beatitudine. Il discorso di Gesù è abbastanza chiaro: quella che chiamiamo misericordia è una virtù che trascende e si trascende, è superiore persino al … perdono perché mentre questo si dà una volta per tutte, il suo superamento implica una dote soprannaturale che si diparte e consegue l’Amore. Cosa fare per conseguire la misericordia, cosa fare per attingere e dare Amore? Ecco, bisogna partire dalle piccole cose, educarsi ed educarle, dare, dare, sempre dare, ricevere quel che ti è necessario, fare di conseguenza, aiutare, contribuire, essere te stesso sotto la volta celeste che per te sarà sempre come un cielo stellato. La misericordia non ama per ricevere, non dà in cambio per dare in cambio, non oltrepassa i confini dell’esistenza per morire ogni giorno sui suoi passi: la misericordia è dono ricevuto da Dio che si perpetua in Cristo con Maria sua madre lungo i meandri, i sentieri e le vie di questo mondo. Non ci sono libri, culture e riferimenti mediatici che possano di per sé spiegare questo mistero, solo la via dell’Essere, la sola che instrada all’Amore, può costituire la maestra che adotta i buoni sentimenti di ogni tempo e di ogni spazio. Incamminarsi su questa via significa andare incontro alla Felicità, sentirsi coperto da quella Madre che è anche fiducia mentre le strade del contesto potrebbero sviarti in meandri lontani, in terre lontane. Questa beatitudine, lungi dall’essere retorica, ci presenta san Leopoldo Mandic (1866-1942), le cui spoglie mortali si venerano a Padova, intento nell’amministrazione del sacramento della penitenza: i penitenti erano i prediletti del suo cuore perché accettando di buon grado i frutti della confessione amavano Dio con sincerità di cuore e umiltà mentale. Non si può riconoscere il frutto del costato squarciato del Cristo se non ci si avvicina al confessionale, dove l’amato santo passava dalle dieci alle quindici ore senza mai stancarsi. “Fratello assorbitutto”, così lo chiamavano i suoi confratelli perché non si negava a nessuno e posponeva qualsiasi altro impegno a questo santo ministero. La Madonna della “Lettera” promette però… misericordia e ciò significa che non perderemo la nostra battaglia se persevereremo sino alla fine. Cristo è categorico perché esigente è il suo messaggio, perciò il nostro agire, pur arzigogolando senza fine, intravede nel pane quotidiano il miracolo dell’oggi storico.
La prima lettera delle quattro da noi tenute in convincente armonia è quella dedicata “Ai Messinesi” che inaugurando un genere nuovo, la Letteriologia, si pone in aspettativa di tutto rispetto perché inviata tramite delegazione al popolo peloritano che volle onorarla “con le mazze di ferro” a soggetto di autenticità veridica. Vedi la IV epistola che ci presenta lo specimen della lotta: conflixere mirando in Xto cum Maria Matre Ejus!
Ce ne sono state peraltro altre ad Ignazio di Antiochia, alla città di Firenze e a coloro che aspettano con indubbio motivo la novità del VOS ET IPSAM BENEDICIMUS della singolare storia che noi vi regaleremo a puntate nel non-évènementiel istorico di Paul Veyne e di chi scrive la storia.
Redatta 9 anni dopo dalla Vergine e Madre Essa, non solo è un “Minivangelo di Maria” ma si colloca all’exploit descrittivo per cui le quattro annualità del reverendo percorso immerso nella plurifonte ispirazione mariologica futura. È il grazie di Maria alle genti peloritane: da Briga partirono i sedicenti crociati che svolsero il segno e il sogno della Croce di Xto impresse nelle carni, sul petto e sul cuore del Dire fraterno.
Questi gli interrogativi che promanano dal precetto evangelico e che hanno da dire e da dare a questo “povero” nostro mondo sempre proteso verso le ricchezze che, motivate o meno, assurgono al rango di cogenti necessità. Invero è la forza dello Spirito Santo che produce poveri ancor più esigenti allorquando il volere e l’agire sono protesi per i “dove” del servizio, della solidarietà, del ricercato benessere. E lo Spirito, soffiando dove vuole, crea condizioni di vivibilità per tutti i suoi poveri. La risposta al primo nostro interrogativo facilita anche la risposta al secondo perché la salvezza non è prerogativa esclusiva di nessuno e le tre virtù teologali ci insegnano a superare ogni ostacolo, ogni camminamento di sofferenza, ogni trito e ri-trito viaggio perché nell’ebbrezza della solitudine ci sia luce, il Logos di fraterna condivisione. E se l’esempio trascina perché non vedere nella beat E’ senza dubbio il mondo stesso attesta la poliedricità della sua diversità allorquando la vis generans della carità produce frutti di bene significativi non solo nel suo ambiente di vita me in tempi e spazi molto diversi dove è proprio il kairos a testimoniare l’eroicità della sua persona. Certo “è più facile per un cammello entrare nella cruna di un ago…” mi ripeteva spesso mia madre nella sua conoscenza popolare della Parola di Dio. Eppure, questa pericope memorizzata fino all’inverosimile non esclude proprio che ricchi siano i… più poveri di Spirito! Quanto al Regno di Dio, io penso che ogni momento è buono per entrarvi, Gesù lascia la porta aperta a tutti e ognuno col suo saper fare, con la sua intelligenza, col suo dinamismo interiore vi entra quando è dato perché facendo la sua volontà possiamo essere esecutori dei suoi ordini non di altri. La Vergine e Madre della Lettera o delle lettere ci fa apprendere il “Signum” sanitatis che sorvola le nostre bassezze e mancanti ideologie. Specimen Sapientiae è la nostra pura speranza. W Maria!