
Dal Venerdì Santo a Pasqua: a Catanzaro, Nocera Terinese e Rosarno.
Venerdì santo, giorno di astinenza e di digiuno rotto a Catanzaro da raffiche e folate di vento gelido: anche qui la Passione del Signore si colora di un’atmosfera dimessa e pur triste e l’aria stessa partecipa al dolore della Chiesa per la morte del Redentore Gesù… L’Azione Liturgica è finita da un bel po’ nella centralissima Basilica dell’Immacolata Concezione; il celebrante, lasciati i paramenti color rosso della Passione (dopo il Concilio i paramenti di questo colore sostituiscono i violacei di un tempo), ritorna in sacrestia mentre all’interno del Tempio è tutto un brulicare di gente e di iniziative dopo che sono state consumate le particole dell’Altare della Reposizione e il prisco sepolcro viene ancora visitato e ammirato da congregati, fotografi e curiosi proprio come recitava il vecchio adagio calabrese di un tempo: “O Sipurcru visitusu di la somma gerarchia // chi di lacrimi siti bagnatu di la Vergini Maria!”.
I calabresi di una volta avevano più coscienza di noi nel collegare il “mysterium” delle Particole riposte nel tabernacolo con quello dell’Addolorata Vergine e Madre e, pertanto, erano più sciolti e spigliati nell’elevare canti eucaristici che in unum contemplassero il sensus Fidei e l’obsequium verso la Corredentrice. Ultimati i preparativi all’interno della chiesa, la “n a c a” che esce ogni anno da una chiesa diversa sede della specificità di una delle cinque Congreghe catanzaresi sosta sui gradini del sagrato, colorata e imponente col Cristo nudo ricoperto da un velo e agli spigoli i quattro Angeli straziati dal dolore della sua morte, per ricevere il primo omaggio del popolo che si segna con un “segno di Croce” mentre la banda musicale intona le note pietose del Miserere. Poi è la volta della Madonna Addolorata, una statua ieratica e imponente coperta da un largo manto nero tempestato di stelle, trine e orli dorati di evidente stile spagnolesco. Anche davanti alla Vergine del dolore il previsto omaggio sincero di tutto il popolo catanzarese, dei turisti e dei forestieri.
Ci facciamo largo tra la gente e sostiamo in via Poerio, un punto ideale per vedere lo sfilamento della processione. Notiamo subito un tamburino che la apre col caratteristico rullo a mortorio, fanno seguito le Congreghe ciascuna preceduta dagli sgherri romani, qualcuno dei quali continua a prendersela col Cristo sfigurato, dall’abito consunto e lacero, dalle gambe esili e dai piedi nudi che porta la croce per i peccati del mondo: è un figurante-penitente che non stona il dinamico procedere di tutto il corteo ma che, invece, lo anima di perenne vitalità e dinamicità perché dietro la “scorza del peccato” c’è sempre l’umanità del lapsus, che cade ma che poi si rialza in virtù dei Sacramenti della Chiesa. Ci sono ragazzetti che vestiti a modo sorreggono i Simboli della Passione: il gallo, la tenaglia, i chiodi, la spugna etc. il tutto rientrante nella dinamica degli antichi cortei penitenziali dei primi secoli dello scorso millennio.
La naca, anche nella significanza etimologica del nome, reca in sé l’auspicio di “culla-avello” del Redentore e lo stesso “dondolio” dei portantini ne mostra ragione.
Dopo un’ora fitta il corteo rientra in chiesa dall’altro lato di Via Mazzini, ha attraversato strade e viuzze del Centro storico, i portatori sono forse un po’ stanchi, ma la gente più folta e attenta di prima vuol sentire il messaggio dell’Arcivescovo Mons. Vincenzo Bortolone il quale parla di valori etici, lavoro che non c’è, sentimenti cristiani affievoliti toccando il cuore di fedeli e non verso la vera dimensione della Pasqua Cristiana oggi. Accanto a lui il Sindaco Abramo, le Associazioni Militari e Civili, il Volontariato, i Vigili del Fuoco e gli Appartenenti alle Istituzioni di Vigilanza. Ora il simulacro della Beata Vergine Maria trafitta nel dolore da 7 spade può entrare in Basilica, poi sarà la volta del Cristo Morto nta naca, molta gente rientra in chiesa per un’ulteriore preghiera, tanta altra se ne va…mentre il Crocifisso troneggia al centro del presbiterio con due ceri accesi ai lati anche domani sabato santo per chi non avesse fatto in tempo a fare l’adorazione oggi.
L’indomani è giorno a-liturgico per la Chiesa, non si celebrano messe, si sta in raccoglimento baciando la Croce su cui patì il Salvatore del Mondo e contemplando i Misteri di sua e nostra Madre Maria. Ci rechiamo a ritroso attraverso la strada dei 2 Mari a Nocera Terinese per contemplare il suggestivo rito dei “vattienti”, ossia di coloro “che si battono” a sangue per penitenza e per onorare la Passione del Cristo. Qualcosa è cambiato da una decina d’anni fa quando avevamo assistito all’analogo rito. Vogliamo raggiungere il corteo a zig-zag dell’Addolorata ma già più d’un vattiente con l’acciomu ci precede all’inizio del paese, quasi incontrandoci al Calvario. I fotografi fanno man bassa di scatti, i curiosi si meravigliano, i noceresi vivono la “diei normalitas”, io contemplo come più d’uno d’essi lascia un mazzo di fiori sulla varetta della Madonna mentre qualche altro, non trovando più posto, si accontenta a strofinarli sulla statua della Pietà e mi ricordo … dell’ottima lezione tenutaci in gioventù dall’esimio preside etnologo Antonino Basile a proposito del valore taumaturgico dello strofinio di oggetti e immagini sacre sulle statue dei Santi.
Mi inoltro ancora per la via principale e domando ad uno dei tanti “confrati dell’Addolorata” il significato “votivo” della sparacogna, l’asparago selvatico la cui piantina forma per intreccio la loro corona di spine, poi, oltre le chiese e il Calvario un altro luogo storico e votivo è la CROCE a Gesù Redentore posta sul corso nocerese dai Padri Passionisti – JESU XPY Passio nel 1911 e “rinverdita” lo scorso 1998 dai Padri Minimi del Santuario di San Francesco di Paola. Ma latu sensu sono votivi anche gli abiti nero dei vattienti, rosso dell’acciomu, lo stesso cordone e croce rossa che legano i due “in signo poenitentiae”.
La Chiesa, a differenza di alcuni decenni fa, si dimostra più tollerante, è in dialogo con tutti riguardo questo fenomeno, ha fatto stampare delle immaginette sacre in cui il sac.Tommaso Boca così si rivolge all’Addolorata Maria: “O Madre,intercedi per noi, ma aiutaci, o Ausilio dei Cristiani, affinché, come Gesù nell’Orto degli Ulivi, preghiamo e otteniamo che sopra tutto sia fatta la volontà del Padre, che sempre opera per il bene dei suoi figli”. Anche il Parroco Mons. Sergio Gigliotti e il francescano Padre Lorenzo Bergamin non la pensano diversamente “in quanto il fenomeno dei vattienti non può che essere studiato in una dimensione che riguardi al contempo la vita della Fede Cristiana e della pietas popolare”. Ci sembra di ravvisare nella loro presa di posizione il pensiero del compianto studioso Mons. Giuseppe Agostino per il quale “il mysterium Crucis non è superstizione ma concreta storicizzazione di un Signum Fidei assunto come vita e condivisione”.
E a conferma dell’ultramillenaria “Sapientia” della Chiesa ho voluto incontrare a Nocera Torinese l’ottuagenaria signora Palma la quale mi ha salutato con una vocina calma e ferma dicendomi che “il rito dei vattienti a Nocera è molto antico, un tempo occupava due giornate, il venerdì e il sabato santo, e i canti della Passione – gioie e lamentazioni, riportate nel mio libro “La Pasqua Cristiana” Ed. Hyppocampus, 2013- venivano recitati e cantati fino all’ultima chiesa”.
DIES PASCHALIS! Il “lucernario” della “veglia di tutte le veglie” apre il preconio pasquale con le letture bibliche, la liturgia battesimale e quella eucaristica che ne fanno per Sergio Gaspari il “cuore pulsante di tutto l’anno liturgico”. Invero quella di stanotte è una liturgia davvero cosmica ed universale in cui il cielo chiama la terra e tutti i mondi possibili a partecipare ai frutti della Redenzione del Cristo Risorto. “Dalle tue dimore tu irrighi i monti,// e con il frutto delle tue opere si sazia la terra…//Emitte Spiritum tuum, Domine, et creabuntur!…” Il far nuove tutte le cose comporta la “grazia del risveglio” che col sepolcro aperto implica la risposta della nostra volontà. L’essere cristiani del Risorto vuol dire “anelare ai corsi d’acqua” per attingere con gioia alle sorgenti della Salvezza. Questo il senso del messaggio pasquale di don Giuseppe Tripodi a Cannavà per cui “la veglia di Pasqua spiega e illustra quella del Natale e non viceversa”.
A mezzogiorno a Rosarno come in tanti altri centri della Calabria e del Sud Italia c’è a’ ffruntata ossia l’incontro tra il Cristo Risorto e sua Madre Maria per l’intermediazione dei viaggi dell’Apostolo Giovanni. È una traditio viva ancora in Polonia – ne era molto affezionato lo stesso San Giovanni Paolo II – e nelle lontane Filippine. Il primo a riferirne letterariamente in un carme latino è il poeta iberico Sedulio (V sec. d.C.) il quale fa osservare, contrariamente alle altre fonti, che il Cristo Risorto apparve “per primo” a Maria. È il neamisco, il giovinetto nudo reggitore del drappo a dare così l’annuncio della Risurrezione mentre tutt’intorno si sveglia la natura e ogni creatura umana acquista consapevolezza della nova humanitas di paolina memoriache tutti ci coinvolge.
Due confraternite nella “città delle arance” si contendono di portare le statue: i membri della confraternita dell’Immacolata portano la statua della B.V. Addolorata, mentre quelli del Purgatorio la statua del Cristo Risorto. Le insegne in uniforme di festa delle due formazioni religiose precedono i rispettivi cortei che s’incontrano (s’a ffruntanu, si cumpruntanu) mentre l’abito della Vergine viene svelato del segno luttuoso e… le colombe vengono liberate in cielo in segno di pace tra i fragorosi applausi degli astanti.
Il rito rosarnese, oltre al Sindaco Tripodi che ha fatto gli auguri pasquali a tutti i concittadini ha visto protagonista, unico in manifestazioni de re, il parroco don Giuseppe Varrà sagace e dotto commentatore dal palco di tutta la manifestazione religiosa pasquale: attraverso le sue mani il Risorto dona alla Madre il “mazzolino fiorito” espressione simbolica non solo di omaggio leggiadro ma del cosmico risveglio. E siccome – lo vuole la Tradizione! – “tutti i Salmi finiscono in Gloria” la diffusione amplificata dell’Alleluja di Handel ha coronato il versetto di giubilo di questa giornata e della relativa finale dossologia: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore // rallegriamoci e in esso esultiamo!”.