Società

La paura ossessiva di morire nega la vita in tutte le sue espressioni

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Viviamo tempi molto tristi e paradossali. È da oltre un anno che l’umanità è precipitata in un incubo che sembra non finire mai. Un virus, denominato COVID19, ha preso possesso delle nostre vite, facendoci vivere (indistintamente, contagiati e non) nella paura e nel disagio più completo, stravolgendo le nostre esistenze. Ma qui dobbiamo porci subito alcune domande: in tempi recenti quando abbiamo avuto altri virus di portata mondiale perché i vari governi non hanno adottato particolari misure restrittive, e in diversi casi anche repressive, così come lo hanno fatto in questa occasione, nei confronti dei loro cittadini? Ed ammettendo che questo virus sia più pericoloso e contagioso di altri avuti in passato, si può giustificare, comunque, una mobilitazione totale degli Stati tale da far dire (l’abbiamo sentito più volte nella nostra “civilissima” Italia) che siamo in guerra e, che quindi, dobbiamo essere preparati ad affrontare qualsiasi situazione? L’altra domanda, corollario della prima, è la seguente: si può arrivare a difendere la vita delle persone impedendo loro di fatto di vivere utilizzando di continuo dispositivi che ledono gravemente i loro diritti di libertà e di autodeterminazione? Per millenni le civiltà hanno sempre evidenziato come la vita umana sia il risultato di un intreccio profondo tra il corpo e la mente, pertanto bisogna curare e proteggere il benessere integrale dell’uomo, costituito, appunto, dalla dimensione del corpo, della psiche e dello spirito. In questo senso, quando siamo di fronte a una persona malata, dobbiamo tenere presente che al centro di tutto sta la dignità della persona e la sua capacità di continuare a svilupparsi, non certamente la malattia o la paura che la stessa malattia suscita. Ora, da quando ha fatto irruzione questo virus gli organi di Governo non fanno altro che parlare compulsivamente di curva dei contagi, di morti per Coronavirus, di lockdown con annesse zone gialle, arancioni e colorate, ed ultimamente di coprifuoco, del passaporto vaccinale, della vaccinazione di massa a cui le popolazioni, per la prima volta nella storia dell’umanità, dovrebbero sottoporsi (alcune categorie professionali hanno già l’obbligo di farlo), pena il pubblico ludibrio per chi non accetta di farlo, una pratica discriminatoria che ricorda tanto il clima di certe ideologie totalitarie novecentesche. Altro dato molto preoccupante è rappresentato dal clima censorio (soprattutto nelle piattaforme social) che si respira contro chi non si allinea con la narrazione prevalente che ruota intorno a questa emergenza sanitaria, spaccando di fatto l’opinione pubblica che da una parte, la maggioranza, vuole affidarsi incondizionatamente a Comitati Tecnici Scientifici per debellare il virus, dall’altra, una minoranza, che ritiene eccessive, abnormi, disumane, queste misure, e, con gli strumenti dell’umana ragione cerca di comprendere cosa può avere mosso o quale mano occulta abbia potuto guidare una tale pervasiva mobilitazione. Sappiamo come la parte minoritaria venga liquidata come complottista, negazionista, gli altri (seguendo questo ragionamento dovrebbero chiamarsi collaborazionisti), invece, che docilmente accettano l’impostazione data dai quadri ufficiali del sistema, sono meritevoli di essere trattati bene e premiati. Mi viene da pensare spontaneamente a tutti quelli che all’inizio di questo incubo uscivano dal balcone per cantare “O sole mio”, l’Inno d’Italia, o esponevano striscioni con su scritto “andrà tutto bene”; oggi, credo, che pure loro pensano che non sia andato tutto per il verso giusto, ma con ogni probabilità sono sempre disposti a subire quella che si definisce la “nuova normalità” preparata dall’ordine del Discorso. In questo tornante inedito della storia, ci sarà bisogno delle intelligenze più acute e di uomini e donne dotati di grandissimo senso civico per smascherare il grande inganno che si nasconde dietro un disegno che gli attuali potenti della Terra chiamano il Grande reset, di cui la gestione mondiale di questa emergenza sanitaria è, a mio avviso, un tassello apicale. Non ci sono posizioni neutrali da far valere, l’indifferenza dovrà essere bandita, poiché ciascuno è chiamato in causa nel dare il proprio contributo. Lo dobbiamo per chi ci ha preceduto e lasciato in eredità i grandi valori della nostra civiltà, per le nostre generazioni, per le generazioni future e la possibilità che esse trovino e coltivino ancora il senso più profondo di quella condizione umana irrinunciabile ad ogni latitudine e in ogni epoca.

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