Storia

La storia delle filande di Villa San Giovanni: un patrimonio da salvare

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L’uomo contemporaneo è sottoposto al processo accelerato di un cambiamento che modifica profondamente le strutture sociali e la percezione del nostro modo di stare al mondo. Nella velocità e nel circolo vizioso consumistico dell’usa e getta le nostre esistenze sembrano aver smarrito quei punti di riferimento che hanno informato le civiltà per millenni. Questo lo si vede esemplarmente nella tendenza a dimenticare le nostre radici, nel non fare vivo uso della nostra memoria e delle nostre nobili tradizioni, conseguentemente le nostre comunità diventano sempre più luoghi anonimi e impersonali, deprivati del loro pregno senso storico. Ad esempio quanti conoscono la storia e la diffusione di un prezioso tessuto quale la seta, soprattutto, nei diversi centri italiani? È noto come questo prezioso tessuto rimase una prerogativa esclusiva della Cina imperiale per molti secoli, poi l’arte serica fu introdotta in Sicilia nel XIII secolo e da qui si diffuse in tutto il territorio italiano e nel resto d’Europa. Ma dobbiamo sapere che prima del prodotto finito avviene un procedimento che possiamo definire di alta ingegneria naturale.

La seta, infatti, unica fibra naturale a essere prodotta con un filo continuo e sottilissimo dall’emissione di bava da parte del baco, si ricava dal bozzolo della larva “Bombix mori”, che si nutre delle foglie di gelso.   Le quattro fasi principali in cui si può riassumere la sericoltura sono: la gelsicoltura, la bachicoltura, la trattura e la torcitura. Nella prima fase si ha la coltivazione dei gelsi, strettamente legata all’allevamento dei bachi da seta; nella seconda fase i bachi schiudono le uova che all’inizio misurano circa due millimetri, ma nel giro di sei settimane, nutrendosi solo di foglie di gelso, aumentano il loro volume di 6000 volte raggiungendo una lunghezza di circa sei-sette centimetri. A quel punto i bachi, dai lati della bocca, producono una bava molto sottile che, a contatto con l’aria, si solidifica e si dispone in strati grazie a particolari movimenti della larva. In tre-quattro giorni si forma il bozzolo, composto da un filo continuo di lunghezza variabile tra i 300 e i 900 metri che, una volta raccolto e trattato, diventerà un filato di seta; nella terza fase i bozzoli vengono immersi nell’acqua calda per dipanare il filamento. Per fare un filato di seta per tessitura è necessario unire il filo di almeno sei bozzoli, che grazie alla sericina, una sostanza gommosa, rimangono compatti durante la trattura; nella quarta fase con una macchina chiamata “torcitoio” viene impressa una torsione al filo di seta cruda, che ne aumenta la resistenza e impedisce la separazione dei vari fili.

Dopo questa lavorazione, il filo di seta diventa un filato pronto per essere trasformato in tessuto. In Calabria, a Villa San Giovanni, c’è stato un periodo in cui prosperò la produzione della seta nelle cosiddette filande divenendo un laboratorio d’avanguardia nel settore per diversi decenni. La storia ha inizio quando un Regio permesso nel 1792 diede l’opportunità a Rocco Antonio Caracciolo di avviare la prima filanda, in zona Fontana Vecchia. A essa ne seguiranno tante altre, arrivando a contare nel suo massimo splendore ben 56 filande dislocate tra Villa, Pezzo e Cannitello. Nel 1847 a Villa vi erano 44 filande gestite tutte a conduzione familiare, con 670 occupati, ma presto con la meccanizzazione e l’uso delle caldaie a vapore, e per effetto dell’Unità d’Italia, imprenditori settentrionali e stranieri decisero di investire nel territorio, come il milanese Adriano Erba e gli inglesi Thomas Allam ed il nipote Edward J. Eaton. La cittadina allora sotto questo nuovo impulso si guadagnò il soprannome di “piccola Manchester”, in riferimento alla fiorente attività serica della città inglese e alla nuova presenza industriale inglese. Nel 1892 a Villa operavano ventuno impianti a caldaia e un solo impianto a fuoco diretto (Bambara Pasquale). Le maggiori filande a caldaia erano la filanda Eaton, la filanda Erba, la filanda Florio e Marra, la filanda Caminiti Giovanni & figli e la filanda Lofaro Rocco e figli. La produzione venne interrotta bruscamente per effetto del terremoto del 1908 e delle undici filande ricostruite solo tre continuarono la produzione fino alla prima metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Tra queste ricordiamo la filanda Cogliandro di Cannitello la cui memoria vive ancora nella persona del prof. Domenico Cogliandro.

Lodevole è stato lo sforzo del prof. Cogliandro, dagli anni Ottanta in poi, di far rimanere acceso il ricordo delle filande di Villa San Giovanni, con iniziative tendenti a convertire lo storico opificio omonimo a esempio di archeologia industriale e al riuso dello stesso per eventi sociali e culturali. Purtroppo questo nobile tentativo non è stato supportato adeguatamente dalle istituzioni, e il tentativo di recupero della memoria delle filande finora è andato avanti soltanto sulla buona volontà e capacità di qualcuno, ma certamente non tramite un’azione politica complessiva di sviluppo. Vogliamo sperare che, sulla scorta anche di questo contributo, ci sia una fattiva riconsiderazione da parte delle istituzioni su questa importante e gloriosa pagina di storia villese.

Ringrazio il prof. Domenico Cogliandro per la sua cortesia e collaborazione al presente contributo.

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