
Dal libro di Anacleto Busà “La Vallata di Santo Stefano Medio la natura, il paesaggio, I segni dell’uomo” ho tratto lo spunto per parlare dei Monti Peloritani. La catena montuosa della Sicilia nord-orientale si snoda in direzione NE-SO, e va da Capo Peloro fino al fiume Alcantara. È lunga circa 65 chilometri. Nel libro viene riportato che “il complesso demaniale dei Peloritani si estende dal colle San Rizzo verso sud fino al parallelo che passa per Ponte Santo Stefano, per una lunghezza di quindici chilometri. L’intero comprensorio ha forma allungata con perimetro molto irregolare; abbraccia terreni che ricadono nei bacini montani del San Leone, del Camaro, del San Filippo, del Ladreria, del Mili e del torrente di Santo Stefano sul versante ionico e quindi con esposizione a sud-est”.
Per una migliore comprensione della collocazione del territorio della vallata di Santo Stefano nell’ambito del Demanio dei Peloritani, possiamo considerare di dividere tale Demanio in quattro nuclei forestali. Il primo è costituito dalla Foresta di Camaro, il secondo dalla Foresta San Leone, il terzo è rappresentato dalla Foresta di Crupì e infine il quarto rappresenta la Foresta Musolino e Ziriò. Quest’ultima si sviluppa in una fascia che parte da Pizzo Corvo raggiungendo Ponte Santo Stefano per una estensione di circa dodici chilometri e con una larghezza irregolare che varia da uno a cinque chilometri. Sul versante ovest la stessa interessa la parte alta dei bacini montani dei torrenti Saponara e Calvaruso e sul versante est quella dei bacini San Filippo, Larderia, Mili e Santo Stefano. Tale foresta costituisce nell’intero demanio dei Peloritani quella più estesa con il suo 90% dei terreni posti nei Comuni di Messina e di Villafranca Tirrena. Val la pena ricordare che il fondo della Foresta Musolino e Ziriò è passato all’Azienda Regionale Foreste Demaniali nei primi anni Cinquanta per effetto del decreto dell’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Sicilia n. 45 del 12 settembre del 1951.
Nel 1952 il rimboschimento da parte della forestale di parte del territorio si concretizzò con la semina di castagni, roverelle, acacie, eucalypti e ghiande di leccio per una estensione di circa 765 ettari. L’intera area forestale è attraversata dalla strada militare rotabile che si snoda per ben diciannove chilometri, dal bivio del Colle San Rizzo al Puntale San Calogero. Nell’intera vallata sono presenti le cosiddette “strade reali” poderali. All’interno di questa vasta area spicca il massiccio denominato “Serra di Castellaci”. Lo stesso è delimitato dal torrente Santo Stefano Medio, dal vallone Porticella, dalla Portella Crucittia, dal vallone Cavallotto (versante Galati Santa Lucia), dalla strada antica reale poderale che, partendo dalla chiesa normanna di Mili San Pietro, attraversa il torrente Cavallotto, la contrada Landolina per giungere alla contrada Bruga sul torrente Santo Stefano Medio. Esso costituisce di fatto il crinale che separa il territorio di S. Stefano Medio da quello di Galati Sant’Anna. I nobili Balsamo-Viperano ne sono stati proprietari fino alla seconda metà dell’Ottocento, utilizzandolo quale zona di pascolo.
Mi è d’obbligo precisare che il 10 aprile 1759 don Francesco Balsamo-Viperano acquistò il titolo di principe di Bellacera da Pietro di Napoli, principe di Resuttana, e lo tramutò in quello di Castellaci (Castiddaci) da cui, appunto deriva il toponimo della Serra. La serra si caratterizza per essere costituita da una formazione calcarea di rocce arenarie, calcarenitiche e tufacee con fenomeni di carsismo, scavate dall’erosione, che hanno assunto forme particolari. L’imponenza delle rocce calcaree, a seguito delle millenarie erosioni, è data dalle forme antropomorfiche prodottesi, alle quali nel tempo la gente ha dato i nomi più vari (“‘a madunnuzza”, “‘a rocca a cavaddu”, “a’ rocca longa”, “u’ bammineddu”, “‘a turri”, “’a ciacca ranni”, “‘a rocca tunna”, “‘u ciaularu”, “‘a petra Pizzuta”, etc. ). Chi ha avuto modo di osservare la serra Castellaci nelle notti di luna piena o nelle fredde giornate invernali o nel periodo estivo da uno dei pianori delle vicine contrade (Fornaci, Landolina, Fossa, Vallone Pepe, Lacco) o percorrendo il torrente S. Stefano, nota il cambio dei colori dei vari tratti avvertendo quasi un senso di magia.
Innamoramento a prima vista fu di certo quello del poeta popolare messinese Pasquale Salvatore (1885-1958) che, recatosi da quelle parti con degli amici del luogo, ne trasse degli appunti che tramutò nella poesia “Fiumara di Santu Stefanu” nel libro “Trastuli”, pubblicato nel 1949. Per il massiccio “Serra dei Castellaci” riporto l’iniziativa del consigliere provinciale, Salvatore Magazzù, relativa alla istituzione di una riserva orientata nell’area della Serra. Più nello specifico: inclusione del castello di S. Stefano Medio nel sistema turistico ricettivo; previsione di uno svincolo autostradale A20 torrente Giampilieri; tutela di villa Pirotta di S. Margherita. Detta delibera prevedeva e obbligava di inserire tali richieste nella fase successiva, denominata piano operativo. Il Consiglio Provinciale con diciannove voti favorevoli e dieci astenuti, il 14.2.2008, dopo undici anni di iter, ha tagliato un importante traguardo approvando il quadro conoscitivo strutturale e il quadro propositivo con valenza strategica del PTP (piano Territoriale Provinciale).
Successivamente era stato dato il via alla terza e ultima fase, quella del piano operativo che avrebbe dovuto essere esitata dal Prossimo Consiglio Provinciale. L’istituzione della riserva naturale orientata protetta poteva costituire un’ottima base di partenza per la valorizzazione del territorio e delle sue risorse a scopo turistico, culturale e agrituristico, assicurando nel contempo uno sviluppo sostenibile in grado di garantire e stimolare anche nuove attività socio-economiche. Il cambio politico susseguitosi non ha consentito di proseguire secondo le indicazioni programmate e tale iniziativa alla fine é stata catalogata nel libro dei sogni.