Società

Tecnologia stupefacente

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Caro ingegnere Meucci, se la rivista Forbes fosse esistita già nel 1800 (e se Graham Bell non le avesse rubato l’invenzione), l’avrebbero sicuramente inserita tra gli uomini più influenti del pianeta; se le avessero detto che la sua invenzione avrebbe creato più dipendenza della marijuana, sicuramente si sarebbe fatto una grossa risata.

E invece…

Dopo quasi due secoli il telefono è diventato la nostra croce-e-delizia, un’immancabile protesi della nostra voce e della nostra mente, la cui compagnia ci ha portato a non riuscire più a distinguere il confine tra la vera-vita offline ea la meta-vita online, e non è un caso se nel 2015, per marcare la liquidità della vita contemporanea, si sia coniato il termine “onlife”.

Siamo sempre connessi, sempre raggiungibili, sempre pronti a rendere speciale ogni momento della vita quotidiana e, ovviamente, sempre pronti a condividerlo sui social ma, nel frattempo, cos’è successo ai nostri sentimenti? E soprattutto, cosa succede quando improvvisamente ci ritroviamo senza connessione? Panico!

Vediamo cosa dice la Scienza

Uno studio commissionato al centro di ricerca YouGov, da parte del Post Office della Gran Bretagna, ha dato il nome all’insorgenza di fenomeni d’ansia in corrispondenza di una involontaria assenza di connessione: Nomophobia. Un nome che possiamo tradurre come ansia da assenza di cellulare, derivante da: NO MObile-PHOne phoBIA.

Questo primo studio, e la nascita del termine, risalgono al 2008, quando ancora eravamo liberi di incontrarci e scambiarci una stretta di mano, immaginiamo oggi che enorme valore possa avere l’essere sempre connessi e quale sia il disagio nel rimanere privi di connessione.

La ricerca è stata condotta su 547 studenti di una Facoltà di Medicina di cui il 53% ha manifestato apprensione nel momento in cui il loro telefono si spegneva o semplicemente non c’era campo; il 77% controllava il telefono almeno 35 volte in un giorno; il 23% presentava evidenti segni di Nomophobia e il 50% di questi ultimi ha dichiarato di non spegnere mai il telefono.

La Nomophobia colpisce soprattutto i giovani

È il risultato di uno studio del Dott. Shambare che nel 2012 ha osservato come si manifestino comportamenti frequenti di ansia tra gli studenti delle scuole superiori, dovute all’uso eccessivo dei telefoni cellulari e, in particolare, alla mancanza di momenti di solitudine.

Stare soli fa bene

Secondo Shambare i sintomi tipici di un soggetto nomofobico: pessimismo, bassa autostima, impulsività, ecc., sono legati all’assenza di momenti di solitudine durante i quali normalmente riusciamo ad alleviare lo stress quotidiano, momenti che mancano nella vita di una persona sempre connessa.

Alla fine della ricerca, dopo aver scoperto che l’eccessivo utilizzo del cellulare genera evidenti sintomi di ansia e aver rilevato che il 61% dei soggetti testati controlla il telefono appena si sveglia (lo fai anche tu?), il Dott Shambare conclude con un pensiero laconico: “i telefoni cellulari rappresentano probabilmente la più grande fonte di dipendenza da non-droghe del 21° secolo”. Gli studi successivi, in Brasile e in Australia, confermano tutto ciò.

I rimedi

Fortunatamente la Nomophobia, o Nomofobia se vogliamo dirla in italiano, si può curare, e non servono medicine.

Gli stessi scienziati consigliano di dedicare qualche ora del giorno in passatempi che distraggano dall’utilizzo dello smartphone: svolgere attività all’aria aperta e coltivare la nostra vena artistica sono i rimedi che funzionano di più.

Insomma, impegnarsi in abitudini sane con la giusta consapevolezza, attraverso quella che il Dr Glasser chiamava “Terapia della Realtà”.

Caro ingegnere, l’avrebbe mai immaginato?

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