Storia

Terranova Sappo Minulio tra storia e arte

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Terranova Sappo Minulio, in provincia di Reggio Calabria, possiede una storia talmente gloriosa che poche altre città della Calabria possono vantare. I testi antichi e le testimonianze del passato che sono sopravvissuti nel tempo attestano in modo straordinario a quale livello sociale, culturale, ed economico era giunta la città tra il 1300 ed il 1600. La località ebbe una grande rilevanza militare ed economica sia perché posseduta dai più grandi feudatari del Regno quali i Sanseverino, sia perché il suo territorio, situato tra il mare Jonio ed il Tirreno, era un punto nevralgico per il passaggio delle armate. Non a caso nel 1502, proprio per la rilevante importanza militare, il feudo venne affidato al grande condottiero Consalvo de Cordova detto il Gran Capitano. Della storia di Terranova sono stati pochi gli storici e i ricercatori che se ne sono occupati. Si può affermare che l’interesse inizia per merito di Fortunato Larosa il quale, anche se spinto da amor di Patria dovuto alla paventata ipotesi di accorpamento della sua città con Iatrinoli e Radicena per la formazione del Comune di Taurianova, narra i fasti e la storia di Terranova affidandoli alla rivista “Albori di Cittanova” del 1928 con un titolo emblematico: “Orazione Funebre”. Da allora (oltre al Trasselli) sono stati pochi gli studiosi che si sono interessati della storia della città tra i quali è doveroso ricordare l’impegno di Rocco Liberti, Giosofatto Pangallo e pochi altri. Bisogna comunque dare atto che qualche tempo fa la città si era risvegliata e, grazie all’impegno profuso da alcuni studiosi ed Amministratori, si sono realizzati dei convegni di notevole levatura storica e culturale durante i quali illustri relatori hanno fatto conoscere il frutto delle loro ricerche d’archivio.

Terranova compare innumerevoli volte nei Registri della Cancelleria Angioina, ricostruiti nel 1950 da Riccardo Filangeri e, solo per brevità, si riporta qualche passo importante quale dimostrazione dell’importanza che ha rivestito la città per diversi secoli. Già nel 1259 risulta che Terranova era tenuta in alta considerazione dalla Corte al tal punto che Carlo d’Angiò era possessore di un castello dentro la città. Egli, infatti, incarica certo “Bartholomeo de Surrento alla custodia castri arci Sancti Martini seu Terre nove”, mentre da altro atto risultano possessori delle terre di “Sancto Martino seu Terranova cum plano suo, et Sancto Giorgio cum casalibus”, i fratelli Ianni e Simone. Anche dagli atti del 1275 risulta che in Terranova, compresa nel Giustizierato di Calabria, vi era un palazzo Reale. Nel 1277 Carlo d’Angiò nomina un certo Adami Lufare gallici, “contergii palatii Terranove” e, sempre nello stesso anno, nomina responsabile della tassazione per “Sanctus Martinus, seu Terranova, Ioa, Oppiidum, Seminara, e Bruczanum, Gullielmi de Gubitio”. Comanda, inoltre, ai tesorieri di pagare a Geoffroi Petit, provveditore dei castelli di Calabria, “505 once, 19 tarì e 2 grana per gli stipendi dei castelli pel semestre settembre febbraio”. Anche dalle fonti Aragonesi, pubblicate nel 1957 dall’Accademia Pontiana, si apprendono diverse notizie su Terranova e sui suoi feudatari. Da un atto della Cancelleria Aragonese si rileva che il feudo di Terranova passò dalla casa Caracciolo a quella dei Sanseverino in quanto, avendo avuto Carlo Ruffo di Calabria il feudo da parte di Alfonso il Magnifico, lo stesso Conte fa richiesta al Monarca di concedergli l’assenso di poter donare lo stesso feudo alla sorella Cobelle promessa sposa di “Herrici de Sancto Severino”. Nel 1450 Andria de Ponte dichiara che “Avimo riceputo da Terranova ducati novanta sey, tarì due per mano de Regio et foro et so per lo sali de septembre de lo presente anno”. Lo stesso dichiara inoltre di ricevere da “Terra Nova per mano de Luca de Fiorencza ducati trichento quarantasei per lo foculeri de Natale de lo presente anno”.

Il 7 giugno 1484 viene ordinato dal Re che i Vassalli della terra di Policastro, Terranova e Gioia, prestino l’assicurazione di fedeltà a Giovan Antonio de Petruciis, conte di Policastro. Il nome del feudatario di Terranova compare in un atto nel quale l’8 settembre 1486 il Re, “Vende, per sopperire alle necessità del Regno a Marino Correale, conte di Terranova, una casa in Napoli, presso il sedile di Nido, già di proprietà di Antonello de Petruciis, e devoluta al fisco per la sua ribellione, per il prezzo di ducati 3.000”. Il 13 settembre 1488, Alfonso I il Magnanimo a richiesta del reverendo Giovanni di S.Giorgio, professore di sacra teologia, vicario generale dell’ordine dei Celestini e priore del Monastero di S.Caterina di Terranova, gli rinnova la concessione di prelevare annualmente 24 barili di tonno sulla tonnara di Rocca Niceforo in Calabria, datagli in elemosina per il sostentamento dei monaci da Carlo Sanseverino, poi da Ruggiero di Sanseverino conte di Mileto, nel 1334, confermata nel 1404 dal Re Ladislao e rinnovata nel 1409 da Antonio Salvo di Lipari, già Barone di Rocca Niceforo. Nel 1489 il Duca di Calabria, che diventerà Re nel 1494 col nome di Alfonso II, si trovò a Terranova dall’8 all’11 febbraio. La cronaca del passaggio del futuro regnante nella città è riportata nel I volume dell’opera pubblicata nel 1883 da Riccardo Filangeri dal titolo “Documenti per la storia le arti e le industrie” che così attesta: “Partio da Nicotera et venne a Terranova et quam primum comedit et poi andò a compietà a Sancta Chaterina et quel dì passò doi fiumare: la prima quella di Nicotera alias Medima et l’altra quella di Terranova”. Due giorni dopo il Duca “Andò a Messa a Sancta Chaterina de Terranova et tornò et fece collazione; e poi andò a caccia a starne e vide uno jardino de lo suo Conte et poi andò a vedere una casa del dicto Conte et poi tornò a casa et quella sera se mise doi sanguesughe a le mano”. Il giorno appresso “Audio la sua solita missa et quel giorno non partio da casa perché pigliò certe pittole”. Evidentemente il Duca di Calabria era sofferente per qualche infezione molto grave che lo aveva colpito alle mani. Per tale motivo fu costretto ad assegnare il Regno al figlio Ferrante II dopo averlo governato per appena due anni. A conferma di ciò nelle “Vite dè Re di Napoli”, opera scritta nel 1737 da Bastian Biancardi chiamato anche Domenico Lalli, è riportato che Alfonso II morì il 19 novembre del 1495 a Messina per una “postema” alla mano e fu sepolto nella chiesa di San Domenico della Città dello Stretto. Come si può notare i Regnanti hanno tenuto sempre in alta considerazione il feudo di Terranova avendo cura di affidarlo a persone di loro fiducia soprattutto dopo l’episodio di “ribellione” di Enrico Sanseverino. Questi, figlio di Roberto e Lionarda Caracciolo, avendo contravvenuto all’ordine del Re di pagare alcuni suoi debiti contratti con lo zio Giovanni Caracciolo, fu messo in prigione nel Castello dell’Elmo di Napoli. D’accordo col Conte di Sant’Agata, anch’esso detenuto, cercò di corrompere il cognato del castellano onde impadronirsi del castello e riacquistare la libertà. Il complotto venne ben presto scoperto e ai due Conti fu mozzato il capo. Il feudo pervenne così in potere di Saladino di Sant’Angelo che lo detenne per circa quattro anni, dal 1411 fino al 1415, nel cui anno Alfonso I, come si è già accennato, lo concesse a Marino Correale per il matrimonio da questi contratto con Covella Ruffo, sorella del Conte di Sinopoli. Il Re aveva concesso l’assenso al matrimonio e, quindi anche il passaggio del feudo al Correale anche per la stima che quest’ultimo godeva presso la corte. Alcuni vogliono Marino Correale sepolto nella Chiesa di Santa Caterina di Terranova mentre nell’”Instructionum Liber Regis Ferdinandi Primi” pubblicato nel 1916 dalla Società Napoletana di Storia Patria è confermato che egli “Morì privo di discendenza a metà dell’anno 1499. Fu sepolto nella Cappella, che egli nel 1490 si era fatta nella Chiesa di Santa Maria di Montoliveto in Napoli”. La contea di Terranova, ritornata così alla Regia Corte fu donata, come già indicato, al gran Capitano Consalvo.

L’ascesa di Terranova non poteva fermarsi soltanto a quella economica e politica. Così, durante il periodo di grandezza della città, culminò nel suo apice anche l’ascesa artistica e letteraria dovuta soprattutto ai suoi illustri figli e da tutti coloro che convenivano a Terranova richiamati dalle sue ricchezze. Non a caso il feudo era indicato come il granaio del Regno. La religione, che i Terranovesi sentivano più che altrove, ebbe una parte determinante nell’ascesa della città. I feudatari non facevano che tenerla sempre accesa edificando luoghi di culto abbellendoli con statue di Santi e arredi sacri. Prima che il flagello del 1783 radesse al suolo l’intera città, le chiese e le dimore dei nobili erano sicuramente ricche di opere d’arte. Malgrado gli eventi tellurici, le devastazioni e i saccheggi, a Terranova sono sopravvissute poche, ma significative testimonianze artistiche che ancora oggi attendono di essere adeguatamente diffuse e valorizzate. Da un documento del 1543, pubblicato sempre in Brutium da Alfonso Frangipane, appare per la prima volta un artista di Terranova col nome di Matteo. Il suo nome emerge spesso nel codice del Consolato Romano delle Arti come valentissimo artista, pittore e alluminatore di cui Montecassino, S. Pietro di Perugia e Napoli ebbero opere miniate squisite.

L’opera artistica più antica sopravvissuta a Terranova è rappresentata da una lastra tombale che secondo alcuni illustri studiosi, copriva il sepolcro del Conte Roberto Sanseverino. Essa compare nell’Inventario degli Oggetti d’Arte della Calabria curato nel 1933 da Alfonso Frangipane per incarico dell’allora Ministero della Educazione Nazionale e classificato come “Un frammento di coperchio tombale del XIV secolo proveniente dalla chiesa dei Celestini di Santa Caterina”. L’attribuzione si rivela esatta e confortata dal Fiore che nella sua citata opera riporta l’antica iscrizione che era scolpita nel sepolcro: “Hic jacet corpus magni roberti san severini, comes terraenoae et flumarie, an. Domine 1341”. Del sarcofago doveva anche fare parte una lastra marmorea dove è raffigurato un santo monaco aureolato che regge un libro nella mano destra con impressi in alto due stemmi di casa Sanseverina. Tutto lascia supporre che la figura possa essere quella di Papa Celestino anche per la presenza nella città dell’Ordine religioso dei Celestini.

La più bella opera d’arte di Terranova è senza alcun dubbio la Madonna delle Neve. Sia il Frangipane che il Barillaro concordano che la statua possa essere uscita dalle mani di Benedetto da Majano. Quest’opera, però, possiede una rigorosa e stretta somiglianza nella figura e nello stile con un’altra che si trova nella chiesa di S. Bernardino di Amantea e realizzata senza ombra di dubbio da Antonio Gagini. Altra opera marmorea pregiatissima e degna di notevole rilievo artistico rappresenta la Madonna del Soccorso che, datata unanimemente al XVI secolo, viene attribuita al Montorsoli. La statua di S. Sebastiano è rappresentata da una figura giovanile con le braccia legate dietro la schiena ed assicurate a un tronco d’albero. È privo di gambe e gli occhi sono rivolti verso il cielo come ad attendere rassegnato il martirio. L’opera è dello stesso periodo della statua della Madonna del Soccorso e certamente di scuola siciliana. La selezione naturale e umana ha lasciato a Terranova Sappo Minulio preziose testimonianze che vanno individuate, tutelate e diffuse quale rilevante patrimonio non solo della città, ma della storia artistica e culturale di tutta la Calabria.

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