
Najeeb ha frequentato le scuole in Afganistan e ha conseguito la laurea triennale in India, ha sempre desiderato completare la sua formazione in Europa per poi poter tornare a dare il suo contributo nella sua patria. Dopo aver inviato la sua candidatura a numerose Università, ha approfittato della borsa di studio offerta da Unime, dove ha anche trovato il corso di studi in international management da lui ricercato. Aveva pochissime notizie sulla Sicilia e Messina, ma alla sola idea di poter vivere in Italia era entusiasta di poter fare questa esperienza, nonostante le difficoltà riscontrate per ottenere il visto.
Gli afgani hanno una più forte connessione con l’Italia, rispetto ad altri paesi ambiti dai migranti come Francia o Germania, ne custodiscono anche il ricordo della permanenza della famiglia reale.
Classe 1995, i ricordi della sua infanzia sono quelli post 2001, proprio quando gli americani, che ora lasciano l’Afganistan, creavano condizioni di pace, di sviluppo, di emancipazione e maggiori opportunità. Come Najeeb, anche i suoi fratelli riuscirono a laurearsi, cominciavano a lavorare e si guardava con ottimismo al futuro. Ma purtroppo ora non è così, la sua famiglia è rimasta a Kabul non riuscendo a ottenere il visto per arrivare in Italia. La sorella, che ancora riesce a mettersi in contatto con il fratello, nonostante il controllo del regime, confessa “piuttosto che vivere così, preferirei che Dio spazzasse via questo paese dalla faccia della terra”.
Un aspetto importante che sottolineano è come i Talebani adesso abbiano imparato ad utilizzare la Propaganda, utilizzarla per convincere il popolo ad aderire alla loro atroce ideologia, manipolare belle e convincenti parole per perpetuare la violazione di diritti fondamentali, giustificare violenze, emarginare le donne.
Un’evacuazione, forse meglio definibile abbandono, dopo il quale sono emerse tutte le criticità dell’azione delle “missioni di pace” occidentali. Se sotto l’aspetto civile erano molto apprezzate le attività degli alleati, come quella italiana che riuscì ad Herat ad organizzare una scuola frequentata dal 57% da ragazze, l’aspetto militare era più incentrato su scenari americani, i comandanti erano scelti sotto la loro influenza, chi si occupava della manutenzione dei mezzi militari è andato via, lasciando gli afgani disorientati, incapaci di difendersi o autorganizzarsi per cercare di contrastare l’avanzata talebana, senza un governo che, marcio dalla corruzione, si è dissolto in poco tempo.
Limiti, quelli occidentali, che si riscontrano anche nella gestione delle crisi migratorie, infatti dopo la promessa non mantenuta di creare condizioni di pace nei paesi di origine, ai confini dell’Europa, dalla Grecia all’Ungheria e oltre, poi si preferisce voltare le spalle, alzare fili spinati, seguendo una pericolosa scia di politica conservatrice e miope, che spesso strumentalizza gli stessi migranti, li addita come pericolo, alimenta intolleranza e razzismo per coprire l’incapacità di trovare soluzioni concrete e umane.
In una situazione internazionale molto precaria, Messina rappresenta un porto sicuro, Najeeb si sente ben integrato e accolto dai siciliani, qui ci racconta che non ha mai subito discriminazioni o atti di razzismo. Unime ha indetto un altro bando per studenti internazionali e si spera possa continuare a essere una mano d’aiuto concreta per chi nient’altro sogna che una vita normale e serena. Prima di lasciarci, oltre che a invitarci a sostenere organizzazioni come Emergency, ci consiglia di leggere i libri di Khaled Hosseini (Mille splendidi soli, il cacciatore di aquiloni), Gulwali Passarlay (Ho seguito le stelle), Nadia Hashimi (La figlia dell’arcobaleno), Gino Strada (Pappagalli verdi) perché il primo passo fondamentale per aiutare gli afgani è proprio quello di cercare di creare connessioni, immedesimarsi. Sapere che nel mondo c’è qualcuno che li pensi, già rappresenta per loro un conforto.
@FscoGreco