
La custodia dei soggetti in esecuzione della pena comincia con quanto stabilito nelle Regie Patenti del 18 marzo 1817 che approvarono il “Regolamento della Famiglia di Giustizia”.
Nelle carceri del Regno Sardo, divise in sette classi, a capo di ogni Famiglia era posto un ispettore che aveva il compito di controllare l’operato dei custodi e di visitare le carceri più volte durante la settimana “senza prefissione di giorno”. Da allora, passando per il Corpo degli Agenti di Custodia, istituito per vigilare e custodire i detenuti delle Carceri giudiziarie centrali, succursali e mandamentali, fino ad approdare alla legge di riforma n° 395 del 1990 che istituisce il Corpo di Polizia Penitenziaria e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, di tempo ne è passato e anche tanto.
Tale riforma del 1990 ha accolto le esigenze di cambiamento attraverso la riqualificazione, la smilitarizzazione e la sindacalizzazione, affidando alla Polizia Penitenziaria, oltre ai tradizionali compiti di assicurare la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari, anche la partecipazione al trattamento rieducativo. Oggi, con la costituzione dei Nuclei all’interno degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, sembra si concretizzi compiutamente un salto di qualità che porta gli addetti ai lavori ad agganciare gli altri corpi di polizia dello Stato Italiano. In effetti, la Polizia Penitenziaria adesso può svolgere sia compiti specialistici all’interno degli istituti penitenziari, sia nei servizi esterni, potendone definire la propria identità, la mission e l’unicità.
Ne parliamo con il Comandante Domenico Montauro, Dirigente Aggiunto di Polizia penitenziaria ancora fresco di nomina al comando dei Nuclei dell’Interdistretto e del Distretto di Esecuzione Penale Esterna della Calabria.
- Buongiorno comandante, può parlarci della sua formazione di studi e professionale e dei motivi che l’hanno spinta a entrare nel Corpo di Polizia penitenziaria?
Intanto ci tengo a ringraziarla per la possibilità di poter parlare del mio lavoro, posto che ormai mi sento l’uniforme della Polizia Penitenziaria cucita addosso.

il Comandante Domenico Montauro
Invero la mia carriera di studi, che mi ha visto conseguire la laurea in Giurisprudenza all’Università “La Sapienza” di Roma e l’abilitazione all’esercizio della professione forense, mi aveva permesso di esercitare la professione di avvocato, finché non ho partecipato al concorso che mi avrebbe permesso di approfondire i miei studi relativi al diritto penale e al diritto processuale penale. Mi sono, dunque, approcciato alla Polizia penitenziaria quasi per caso, su suggerimento di un’amica cancelliera presso il Tribunale. Sarò sempre grato del consiglio di partecipare al concorso datomi dall’amica. Superato il corso di formazione a Roma, infatti, ho ricoperto da subito, a maggio 2011, a 30 anni, l’incarico di comandante di Reparto all’interno dell’istituto penitenziario di Vibo Valentia, tra le strutture penitenziarie più prestigiose del territorio calabrese. Detto incarico mi ha consentito di scoprire e approfondire le dinamiche penitenziarie e di vivere un’esperienza professionale di quasi dieci anni di cui sarò sempre orgoglioso, sia per avermi dato la fortuna di guidare un Reparto eccezionale, che mi ha permesso di conseguire risultati straordinari e sia per avermi permesso di vivere esperienze umane di forte impatto emotivo, come solo il carcere permette di fare.
Dal novembre 2020, dopo aver vinto un concorso interno ho assunto, insieme ad altri 10 colleghi in tutta Italia, selezionati accuratamente, il ruolo di comandante del Nucleo Interdistrettuale e Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna di Polizia Penitenziaria che, per la prima volta, va ad operare nelle sedi UEPE di Catanzaro, Cosenza, Crotone e di Reggio Calabria e Vibo Valentia.
- E’ stato facile per lei adattarsi ad un lavoro all’esterno delle mura di un penitenziario?
Il carcere è un’istituzione totalizzante e soltanto lavorando all’esterno ho capito di come mi avesse progressivamente assorbito sia a livello fisico che a livello mentale. La vita nell’istituto penitenziario non si ferma mai e per gestire al meglio il delicato ruolo di comando si rischia davvero di restarne quasi intrappolati. Una volta fuori dal contesto penitenziario, pur da subito stimolato dalla nuova sfida professionale, non posso nascondere di aver inizialmente sofferto un cambio radicale a livello umano e lavorativo. In particolare, se da un lato la consapevolezza di avviare un servizio completamente nuovo per il Corpo di Polizia penitenziaria mi ha reso orgoglioso di ricoprire per primo questo incarico, dall’altro non posso negare le difficoltà nel pianificare una serie di attività che per essere realizzate hanno bisogno di un periodo sul medio e lungo termine, per cui è necessaria pazienza e unità di intenti col personale di Polizia Penitenziaria impiegato in questo nuovo servizio.
- Ci spiega meglio quali sono i nuovi servizi del Corpo alla luce, in particolare, della recente formazione dei Nuclei di Polizia penitenziaria presso gli Uffici Interdistrettuali e Distrettuali di Esecuzione Penale Esterna?
La riforma del Ministero della Giustizia – realizzata con il D.P.C.M. 15 giugno 2015, n. 84 «Regolamento- di riorganizzazione del Ministero della Giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle datazioni organiche” – ha istituito il Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità, rinnovando l’assetto organizzativo dell’esecuzione penale esterna e della giustizia minorile. Il quadro normativo riguardo all’esecuzione penale esterna è stato completato con il D.M. 1 dicembre 2017 con le “Misure per l’organizzazione del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria negli Uffici di esecuzione penale esterna, istituendo i Nuclei di Polizia Penitenziaria presso gli Uffici di esecuzione penale esterna.
Ai principali compiti istituzionali del Corpo, sanciti dall’art. 5 della legge n. 395/1990 ed estesi da altre norme di settore (servizi di protezione e vigilanza, prelievo e tipizzazione dei profili del DNA, funzioni di polizia stradale, etc.), si aggiungono quelli elencati all’art. 2 del suddetto decreto ministeriale: l’accertamento dell’idoneità del domicilio ex lege 26.11.2010 n. 199; il supporto agli accertamenti sulle condizioni economiche e lavorative nell’ambito dell’attività di indagine per la fruizione di misure alternative o di comunità; il controllo, sulla base di intese tra l’Ufficio di esecuzione penale esterna e l’autorità di pubblica sicurezza, dell’osservanza delle prescrizioni imposte alle persone ammesse alle misure alternative – competenza rafforzata, per le prescrizioni inerenti la dimora, la libertà di locomozione, i divieti di frequentare determinati locali o persone e di detenere armi, dalla previsione introdotta ex articolo 8 del D.LGS. 2 ottobre 2018, n. 123 e la verifica del rispetto delle ulteriori prescrizioni previste nel programma di trattamento degli ammessi alle misure alternative.
Viene stabilito, inoltre, che i Nuclei di Polizia Penitenziaria, istituiti presso gli Uffici interdistrettuali e distrettuali di esecuzione penale esterna, operano quali Reparti, ai sensi dell’art. 31 deI D.P.R. 15 febbraio 1999, n.82, avvalendosi dei contingenti individuati mediante il PCD del 17 maggio 2018.
- Quali crede che siano le differenze più tangibili tra il lavoro all’interno di un istituto penitenziario e il lavoro all’esterno?
Le differenze sono tante. Alcune immediatamente percepibili, relativamente allo spazio. Se penso al mio ruolo all’interno della struttura penitenziaria, ricordo nitidamente che sin da subito mi ero preoccupato di girare la struttura penitenziaria in lungo e in largo, dalle garitte ai sotterranei, allo scopo di conoscere il territorio, in quel caso circoscritto e padroneggiarlo, anche al fine di renderlo professionalmente e umanamente più adeguato. Coi nuovi compiti la Polizia Penitenziaria dovrà trovarsi a operare in un territorio naturalmente non delimitato, con le conseguenze del caso, sia con riferimento alla forma e sia alla sostanza. Mi conforta pensare che nel 1997, allorquando venivano demandati alla Polizia penitenziaria i trasferimenti, le traduzioni e i piantonamenti dei detenuti, siamo stati in grado in tempi brevissimi di padroneggiare quel servizio.
- Quali ritiene siano le prospettive del Corpo di Polizia penitenziaria?
La scelta di assegnare alla Polizia Penitenziaria alcune incombenze in materia di esecuzione penale esterna, tra cui alcuni controlli sulle prescrizioni di detenuti domiciliari, affidati in prova, etc. denota una chiara volontà del legislatore di considerare sempre di più la Polizia Penitenziaria come polizia dell’Esecuzione Penale in senso lato. Se andiamo ad analizzare i dati relativi alle pene ci si rende conto di come le prospettive del Corpo di Polizia penitenziaria risultino coerenti con l’andamento generale. Basti pensare che fino al 2019 le pene all’interno delle strutture penitenziarie superavano le pene all’esterno, con un trend lento ma costante. Nel 2019, prima della pandemia, dunque, si è assistito a un sostanziale pareggio tra l’intra-moenia e l’extra-moenia, per poi osservare dal 2020 a oggi un sorpasso delle pene fuori dalle strutture penitenziarie rispetto alle pene all’interno. Secondo questo trend non è difficile immaginare come tra qualche anno le pene in extra-moenia arriveranno a superare di gran lunga le pene all’interno delle strutture penitenziarie. In questo contesto sono convinto che la Polizia penitenziaria andrà a giocare un ruolo fondamentale a garanzia della legalità, con un occhio sempre più rivolto agli aspetti risocializzanti e rieducativi del condannato.
- Entrando nello specifico riguardo alla creazione dei Nuclei di Polizia penitenziaria presso gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, che notoriamente si caratterizzano per la multidisciplinarità, come crede che la Polizia Penitenziaria, per vocazione strutturata militarmente, possa inserirsi in questo nuovo contesto?
Intanto devo ammettere che ho conosciuto gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna principalmente a livello teorico, avendo appreso negli anni scorsi in modo piuttosto didattico le competenze di questi Uffici e avendone scoperto in concreto le attività, soltanto limitatamente ai servizi effettuati con riferimento alle strutture detentive. Operando all’interno degli U.E.P.E. da novembre 2020 ho toccato in modo tangibile l’enorme mole di lavoro di chi vi opera all’interno. E una particolare menzione, a tal proposito, debbo farla riguardo ai Funzionari di Servizio Sociale conosciuti, i quali operano instancabilmente nell’esercizio delle proprie funzioni. La Polizia penitenziaria, in questo contesto, ritengo possa costituire un quid pluris, apportando le proprie competenze e le proprie peculiarità di Forza di polizia, sia con riferimento alla tutela dell’ordine e della sicurezza della collettività e sia con riferimento alle specificità del Corpo, in considerazione del fatto che, operando nell’attività di osservazione, dovrà riuscire a mettere a disposizione le proprie competenze al fine di far fare un notevole salto di qualità a tutta l’esecuzione penale esterna.
- Quali sono le criticità che immagina di affrontare nell’espletamento del nuovo prestigioso incarico?
Ritengo che avviare per la prima volta un servizio di questo tipo possa produrre allo stesso tempo criticità e nuove opportunità. Le criticità possono consistere nel lavorare secondo abitudine, in un ufficio in cui la Polizia penitenziaria è stata sempre vista come una professionalità accessoria alle altre. Se si supera la consuetudine e si comprendono le nuove opportunità di crescita di tutte le figure professionali presenti negli UEPE per il tramite anche della Polizia penitenziaria, ritengo possa essere semplice per tutti ambire a risultati straordinari. In tale direzione sono convinto ci si debba muovere, in considerazione del fatto che il trend europeo è quello di considerare l’esecuzione penale esterna come pena elettiva e l’esecuzione penale in carcere come pena eccezionale (extrema ratio).
- Il contesto territoriale ritiene possa incidere in negativo nell’espletamento del nuovo servizio?
In un contesto territoriale come quello calabrese non si può non considerare come la ‘ndrangheta risulti la piaga più deformante di questo splendido territorio. Considero questa problematica, da calabrese che ha deciso di lavorare in Calabria, uno stimolo in più per affrontare bene il lavoro e per permettere a tutti i poliziotti penitenziari di realizzare una rete di protezione nei confronti di tutti gli operatori degli UEPE e di tutta la collettività, al cui interno ci sono anche persone che hanno sbagliato e che non debbono finire nella rete di arruolamento della macro-criminalità o che debbono essere messe in condizione di uscirne. Sarà fondamentale, a tal proposito, creare una rete tra le Forze di Polizia che, in un contesto quale quello calabrese, per esperienza pregressa, risultano più coese nella consapevolezza di dover affrontare un nemico subdolo ed insidioso costituito dalla macro-criminalità calabrese, tra le più invasive e pervasive di tutto il panorama internazionale.