
Nel capitolo dedicato ai Principi di Scaletta (settimo volume de La storia dei Feudi e dei Titoli Nobiliari in Sicilia del grande storico palermitano Don Francesco San Martino De Spucches ) si legge che il castello di Scaletta (in provincia di Messina): “…era custodito da Matteo soprannominato il Selvaggio per conto della Regia Corte. Federico II Imperatore glielo concesse in una al territorio nel 1220. Giovanni di Scaletta successe alla morte di Matteo suddetto; sposò una nobile siciliana di casa Cotono:; da lui nacquero: Matte0 e Macalda. … Macalda aveva sposato Guglielmo D’Amico, Signore di Ficarra; costuifu spogliato dei beni da Corrado I, Imperatore e Re di Sicilia. All’epoca angioina nulla sappiamo dei possessori di Scaletta; sappiamo che Macalda da Carlo d’Angiò riebbe lo Stato di Ficarra, già del marito. Sappiamo che in quest’epoca sposò Alaimo da Lentini molto accetto ad’Angiò; quale Alaimo, cambiando pensieri, fu uno dei capi della congiura che si epilogò con il famoso Vespro Siciliano. Ai tempi del Re Pietro I, l’Alaimo fu eletto Maestro Giustiziere del Regno, Governatore di Messina, custode della famiglia Reale durante l’assenza del Re, che era partito per Bordeaux onde prendere parte al duello con 100 cavalieri contro altrettanti comandati da Carlo d’Angiò. Re Pietro concesse ad Alaimo – Palazzolo, Buccheri e Odogrillo…. Due figli restarono di Alaimo e Macalda cioè, Tomaso, Barone di Castelvetrano, ed Alanfranco Barone di San Basilio.”
I pareri degli storici su Macalda Scaletta sono controversi. Il Villabianca la definisce superba, il Correnti ambiziosa ed intrigante, altri la considerano spregiudicata e le addebitano anche la rovina del secondo marito, Alaimo da Lentini, il condottiero difensore della città di Messina contro l’assedio Angioino (1282). Nel 1284, nella battaglia navale del Golfo di Napoli, Ruggero di Lauria (ammiraglio della flotta Aragonese) riuscì a catturare il figlio del re Angioino, Carlo chiamato lo zoppo. Si accese una disputa sulla sorte che doveva essergli riservata. Giacomo, figlio del re Aragonese Pietro III, lo voleva far decapitare per vendicare la morte di Corradino. Alaimo si oppose e fece valere la sua carica di Giustiziere (giudice supremo del tribunale). Fu forse a causa di questo – assieme alle solite invidie e gelosie di alcuni nobili che accusarono apertamente Alaimo di tradimento, che Giacomo lo ebbe in odio e decise di vendicarsi. Nel 1284 il re Pietro richiamò Alaimo a Barcellona e lo ricopri di onori per l’eroica difesa di Messina. Giacomo approfittò della sua lontananza per far imprigionare la moglie Macalda di Scaletta e i figli nel carcere di Matagrifone, incamerando tutti i loro beni. La morte di Pietro III (avvenuta a Barcellona l’ 11 dicembre 1285) e la successiva nomina a re di Giacomo sentenziò la condanna del condottiero Lentinese e quella della moglie. Alaimo venne fatto imbarcare per la Sicilia assieme ai nipoti che lo avevano accompagnato alla corte di Barcellona. In prossimità della costa siciliana (vicino Trapani) il 2 Giugno 1287 subì la condanna riservata ai traditori: venne rinchiuso in un sacco (come quello che si usava per seppellire in mare i marinai morti durante la navigazione), assicurato a dei pesi e gettato in mare. Stessa sorte venne riservata ai suoi due nipoti. Macalda, invece, mori in prigionia nel carcere di Matagrifone.
In copertina: Ritratto della baronessa siciliana del Duecento, Macalda di Scaletta. Disegno da Gino De’ Bini, dal libro Le Grandi Amorose da Italo Fiorentino (Roma, 1889), a fronte di p. 800. (da Wikipedia, contenuto di pubblico dominio, no copyright)