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L’eterno ritorno della crisi

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Nel numero 91 dei Classici Disney pubblicato nel luglio del 1984 c’è una curiosa storia (risalente a metà anni Cinquanta) ambientata in parte a Reggio Calabria che ci dice molto di come certe pesanti storture insite nel sistema capitalistico siano candidamente ammesse e addirittura sdoganate anche agli occhi dei lettori più piccoli, fino a renderle in qualche modo accettabili, potabili, provvidenzialmente corrette e alla fine digeribili.

Lo sguardo disneyano sul tema non è irrilevante, visto che produce archetipi adatti ai consumatori occidentali in maniera seriale oramai da quasi un secolo. Né vale quell’atteggiamento da pacca sulla spalla che spinge il lettore a trasformarsi in un madre o in una madre di famiglia e dire tra sé sé ma sono solo storie per bambini: quelle che il lettore ingenuo chiama storie per bambini, il lettore attento chiama edificazioni dell’immaginario, sulle quali poi, se continuamente somministrate, si innestano credenze, e quindi convinzioni, e quindi scelte anche in età adulta.

Veniamo alla storia.1 Paperone (archetipicamente definito “zio” anche da coloro che non gli sono nipoti, quindi è segno che viene usato secondo l’uso avunculare meridionale, dove appellare zio una persona è segno di rispetto. Ciò vale anche nel gergo mafioso – u Zi’ Totò), è proprietario di un appartamento affittato a Peppe Turano, un sarto emigrato. Un giorno il miliardario si reca da Turano per riscuotere l’affitto ma l’uomo non riesce a pagarlo. Zi’ Paperone minaccia di sfrattarlo ma a un certo punto, durante una delle sue sfuriate, si accorge che sul tavolo c’è un sacchetto con della sabbia. Chiede a Turano di che cosa si tratta ed egli gli risponde che è terra proveniente dal giardino di casa sua in Italia, a Reggio Calabria. Zi’ Paperone si incuriosisce, anche perché ha sentito un odore a lui famigliare provenire da quel sacchetto: si tratta di petrolio, per cui, per farsi risarcire, costringe Peppe a farsi dire il suo indirizzo perché vuole andare a vedere di persona se in quel luogo si trova un giacimento.

Turano acconsente suo malgrado e gli dice pure la via, Posidonia 15, e così Paperone vola a Reggio portandosi appresso anche quell’altro schizzato del nipote e i tre asessuati pronipoti. Questi ultimi sono perennemente persi in una schizoide alternanza linguistico-discorsiva che li rende incapaci di articolare individualmente un discorso, sotto gli occhi inebetiti di Paperino (anche lui chiamato “zio” ma attenzione, solo dai nipoti), attuando una ripetuta rimozione del patologico in nome di una ossessiva ricerca del lavoro come consumo.

Qui vorrei aprire una breve parentesi su Paperino, perché costituisce un consustanziale contraltare di Paperone, anche nella scelta della traduzione italiana dei nomi, che a partire dalla stessa radice di specie denota una diminuzione viriloide per colui che non lavora già anche a livello onomastico (Paperino) e invece una premiazione pleonastica per colui che in teoria produce (Paperone). Ma solo in teoria, perché in pratica per Paperone la produzione è finalizzata all’accumulo di capitale fine a sé stesso, cosa che già Marx identificava come il definitivo male del capitalismo stesso e come di fatto accade a livello globale. Si tratta inoltre di due paperi, che sono nient’altro che giovani oche non ancora in fase riproduttiva. In sostanza, Paperina è un’oca femmina, letteralmente. Si capisce dunque che genere di eredità culturale questi personaggi si portano dietro, e come sono oggi così desueti.

Infine, per inciso, Paperino non ha il problema di non trovare lavoro o di non avere abbastanza denaro in tasca – in realtà è più fortunato di Gastone. Paperino ha il problema di essere un disadattato che non sa risparmiare il denaro che guadagna. Il suo disadattamento è frutto di un probabile momento traumatico in cui ha improvvisamente perso il lavoro – lo testimonia il fatto che egli è vestito da marinaio, elemento che richiama un’attività che fu, e rimane sempre vestito da marinaio, segno che il suo disadattamento non trova pace. Si tratta del trasferimento nell’immaginario della figura del disoccupato successiva al crollo del ’29 (Paperino nasce nel 1934): è quello il mondo estetico in cui Paperino e gli altri personaggi si muovono, come bloccati in una bolla spazio-temporale, ed è l’eterno ritorno del trauma che in ogni storia di Paperino, e in ogni crisi del capitalismo, in fondo sempre uguale a se stessa, si celebra.

1 Di questa storia ne parla già Giuseppe Cantarella numero 46 di “Calabria Sconosciuta”

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