
- Ogni epoca ha la storia di fantascienza che si merita
- Di fulmini di metallo e piste narrative
Il comunicato di quest’anno si muove sulla falsariga di quello dell’anno scorso. Non c’è più il riferimento alla Repubblica Popolare Cinese e in compenso entra dentro il “tavolo tecnico”, tutte sigle altisonanti che in effetti non sfigurerebbero in un romanzo di fantascienza ambientato qui in meridione. E poi c’è un nuovo luogo che ricorda alcune scene del Dottor Stranamore di Kubrick: la “Sala Situazione”, a cui fa cenno il comunicato nelle ultime righe, e che davvero ha un elemento di inventiva narrativa notevole: potrebbe sembrare il luogo in cui si fa il punto, in cui non si cincischia, il luogo in cui si prendono decisioni repentine, e ci si assumono le responsabilità. Anche questo è quanto di meno italiano possa esserci, anche questo è un elemento che serve a mantenere le distanze tra il lettore e il fatto. La stanza italiana è quella da pranzo, o il salotto, o un luogo di socialità. La stanza in cui si parla di cose serie di solito ha un che di cospirativo e richiama l’immaginario del confessionale in una Chiesa (in Italia, tutto ciò che è serio è cospirativo).
La Sala Situazione ribalta questo tòpos: è il luogo in cui si radiografa il buco nero delle ossessioni italiche. Addirittura, c’è persino gente che si assume delle responsabilità, e questo è quanto di più rivoluzionario esista per la mentalità italica.
Ecco uno stralcio del comunicato:
“(…) Ai lavori del tavolo tecnico, attivo dalla mattina del 28 luglio, hanno costantemente preso parte, oltre all’ASI, un membro dell’ufficio del Consigliere militare della Presidenza del Consiglio, rappresentati del Ministero dell’Interno – Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Centro Space Situational Awareness dell’Aeronautica, della Difesa – Covi e degli Esteri, Enac, Enav, Ispra e la Commissione di Protezione civile della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. (…) Il Dipartimento della Protezione Civile continuerà a seguire attraverso la Sala Situazione Italia, in stretto raccordo con l’Agenzia Spaziale Italiana, il rientro incontrollato del lanciatore spaziale cinese sulla Terra fino alla conclusione dell’evento”.
Con comunicati così la Protezione Civile si accredita come grande dispositivo fantascientifico e distopico: tra l’altro, provate a collegarvi al sito, nella sezione Aree tematiche > Rischi. Troverete nove temi relativi a nove diversi rischi con nove piani di emergenza relativi. Indubbiamente, un lavoro saggio e utile. Ma il punto di vista sociologico e letterario, che è quello che qui mi interessa, restituisce l’immagine di una società estremamente spaventata, turbata, fragilissima, in cui la letteratura distopica e fantascientifica nidificano con facilità. Una critica a questa riflessione potrebbe essere che questi piani ci sono sempre stati con la differenza che adesso sono pubblici mentre una volta non lo erano. Credo sia una critica pertinente ma non credo che la differenza significativa sia questa. La differenza significativa a mio avviso è che adesso l’opinione pubblica ritiene che certe cose è possibile che accadano, mentre prima tale pensiero, sebbene presente, era mitigato da una maggiore fiducia nei confronti delle proprie credenze e delle istituzioni religiose e politiche.
Questa nuova pista narrativa intrapresa inconsapevolmente dalla Protezione Civile è a mio avviso molto più fertile e stimolante rispetto ai tòpoi che solletica invece una figura come Samantha Cristoforetti, le cui prodezze si sono oramai bruciate perché sono fastidiosamente egoriferite (basta solo il nome, Astrosamantha, per capire come la sua figura cannibalizzi persino lo spazio cosmico che la circonda) e sacrificate all’altare dell’estetica da social, cosa che invece non avviene in questo caso dove, attenzione, non ci sono soggetti singoli a parlare, ma attori collettivi: la Cina, il Meridione, La Protezione civile.
A ben pensarci infine, ogni epoca ha la storia di fantascienza che si merita: nell’Italia degli anni Sessanta, le imprese dei primi uomini sullo spazio portavano ad allucinazioni collettive come quelle riguardanti gli astronauti russi dispersi nello spazio intercettati da frequenze di due radioamatori (la questione tenne banco per molti giorni nei rotocalchi dell’epoca). Negli anni Settanta il tema fantascientifico era legato a una qualche guerra nucleare scatenata da est.
Adesso il tema è la paura di un elemento estraneo al nostro corpo, individuale o sociale, che ci contamina e che si sostituisce a Dio, metafora più che mai evidente di come oramai anche la sfera del divino è terreno di appropriazione mondana: un virus, sempre cinese, un fulmine di metallo, sempre cinese. Uno sconfinamento militare, stavolta non cinese ma russo (ma la Cina è dietro le quinte).
Un qualcosa che turba la nostra tranquilla quotidianità. I nostri confini. Il nostro spazio vitale. Evidentemente è questa l’ossessione dei nostri tempi, che il virus ci ha reso più reale: l’ansia di essere colpiti da un elemento esterno, inumano o diabolico.
L’importante però è ricordare il fatto che sebbene questa ossessione sia reale non vuol dire che sia vera.