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Stride la notizia: sul significato del termine “gabibbo”

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Ci sono parole che corrono di bocca in bocca viscidamente e si intrufolano nel tessuto lessicale di una cultura con la loro innocenza quasi grottesca, simile a un pupazzo rosso con la voce roca e una bocca enorme. L’espressione immobile del pupazzo, dovuta alle cuciture dei bulbi oculari, non restituisce la cattiveria del lessico, e sta tutto lì il gioco: l’innocenza dell’immagine soverchia la brutalità della parola. Si tratta di un meccanismo inverso a quello tipico della società dello spettacolo: riservare alle immagini il compito di stupire, di andare dritto al cuore, e alle parole invece l’analisi, l’approfondimento. Ora, nell’esempio del Gabibbo, il meccanismo è esattamente ribaltato. Una volta che il lessico viene rivelato nel suo stridore, è la parola che va dritta al cuore, riservando poi all’immagine l’elemento più descrittivo e analitico.

Il Gabibbo è apparso per la prima volta a Striscia la Notizia il 1 ottobre del 1990. L’Italia di allora era talmente distante da quella attuale da sembrare quasi un altro Paese, un altro Stato, un’altra comunità. Eppure ci sono residui di quell’Italia che ancora oggi sopravvivono nei termini di una cronicizzazione estetica, e uno di questi residui è proprio lui, questo pupazzo che va ballando per uno studio televisivo dimenando le mani e ostentando un provincialismo dilettantesco.

È opinione comune, a Genova, che il termine “gabibbo” in dialetto genovese voglia dire “terrone” e che, secondo molti, abbia una valenza dispregiativa. L’etimologia, secondo la maggior parte delle fonti, fa derivare il termine dall’arabo “habib”, che vuol dire “amato”, “amico”. Non è chiaro in che modo il termine sia entrato nel dialetto genovese. L’opinione più comune riferisce che questo era il nome con cui i portuali genovesi chiamavano gli immigrati di colore che, sempre secondo alcune fonti, avevano cominciato a lavorare nel porto di Genova a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Quando poi in seguito vi fu l’ondata di immigrati meridionali, il termine ha iniziato a indicare loro e, per estensione, tutti “i non genovesi”. Non è nemmeno chiaro perché né quando questo termine, che in origine esprimeva un apprezzamento, sia in realtà divenuto un termine dispregiativo. Fatto sta che a Genova è spesso usato con questa connotazione, tanto è vero che i tifosi del Genoa appellavano così i tifosi della Sampdoria, non ritenendoli abbastanza genovesi. Altri sostengono ossimoricamente che il termine sia usato in senso bonario, come a sminuirne la portata offensiva.

Va detto che vi è un’altra interpretazione dell’etimo del termine, e cioè secondo alcuni potrebbe derivare da un negozio di tappeti presente nel centro di Genova a fine Ottocento che si chiamava “Cabib”, e che da allora ha cominciato a indicare gli immigrati di origine araba. Cambia poco, visto che è un dato di fatto acquisito il fatto che, per estensione e a prescindere dalla sua origine, il termine ha iniziato a indicare gli immigrati meridionali e quindi tutti i “forestieri”.

Ora, al di là dell’uso del termine che se ne fa a Genova, mi piacerebbe capire qual è il meccanismo comico scattato nella testa degli ideatori di Striscia la Notizia tale da giustificare il fatto di piazzare in prima serata un pupazzo chiamandolo, consapevolmente, “terrone”. Qualunque meccanismo esso sia, nasconde un elemento denigratorio nemmeno tanto sottile. Si potrebbe obbiettare che non esistono prove di tale consapevolezza, e in questo caso rimando alle diverse interviste presenti su Internet in cui Ricci affronta l’argomento. Va anche detto però che, una volta vista anche solo una puntata di Striscia, vi sono buone ragioni di credere che una domanda di questo genere presuppone che vi sia stato un proposito intellettuale o ideologico che forse non è sufficientemente alla portata degli autori e degli ideatori della trasmissione.

Non è bello cavalcare la moda dei termini politicamente corretti, e il lessico ha il diritto di essere immorale, pena la nascita di una dittatura nell’uso delle parole. Pertanto, nessuno auspica forme di censura. Però è importante che questa notizia strisci e si diffonda, affinché i parlanti ne siano consapevoli e decidano liberamente l’uso che ne vogliono fare.

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